Gestione dei rifiuti e recupero di materiale: un settore che cresce, anche se a macchia di leopardo, a ritmi ben più veloci di quelli dell’economia. Il valore della produzione dei soli 100 top player nei rifiuti urbani ammonta nel 2016 a quasi 7 miliardi e mezzo di euro, con un aumento del 3,8% sul 2015, più del doppio dell’aumento della nostra economia, fissato all’1,5%. Se poi a questi numeri si aggiungono quelli del comparto della selezione a valle della raccolta differenziata, le cifre complessive sfiorano i 10 miliardi; in altre parole l’intero settore arriva a valere quanto la metà dell’attuale manovra finanziaria.
Ma non ci sono solo buone notizie: a finanziare questo settore di primaria importanza è ancora soprattutto la tassa/tariffa riscossa dai Comuni o dalle aziende. E il sistema non è “environmental friendly”, cioè non favorisce una corretta e sostenibile gestione dei rifiuti, pur costando non poco ai cittadini. Infatti la tariffa puntuale, che dovrebbe incentivare comportamenti virtuosi da parte dei cittadini nella raccolta differenziata, è ancora poco diffusa e pesa soltanto per il 3,3% sul totale delle entrate da tassa/tariffa. Anche l’ecotassa sulle discariche è molto più bassa che nel resto d’Europa (in totale, meno di 127 milioni di euro, per una media di 17 euro a tonnellata, a fronte di una media europea di circa 80) e solo una parte minima (18%) è riservata ad interventi in ambito ambientale. In altre parole, il sistema non spinge nella direzione dell’economia circolare, come richiesto dalla UE.
A tracciare il quadro del comparto in vista dei nuovi obiettivi europei è il Waste Strategy Annual Report 2017, elaborato da Althesys e presentato oggi a Roma nell’iniziativa “Rifiuti, una strategia nazionale verso il 2030”. Dopo la presentazione dell’AD di Althesys Alessandro Marangoni, ci saranno tre diversi tavoli dedicati a “La trasformazione industriale”, “Finanziare lo sviluppo del settore” e “Le politiche per i rifiuti tra regolazione e mercato”, cui partecipa un nutrito panel di protagonisti del mondo del waste management, a partire dalle imprese i (A2A Ambiente, Contarina, Geofor, GRT Group, HERAmbiente, IREN Ambiente, Marche Multiservizi). A discutere di come sostenere e indirizzare lo sviluppo del settore saranno presenti all’Auditorium di Via Veneto anche il mondo della finanza con Cassa Depositi e Prestiti, UniCredit Bank, Xenon Private Equity, BNP Paribas; i decisori politici e gli stakeholder (Carlo Maria Medaglia, capo della segreteria del Ministero dell’Ambiente; Alessandro Bratti, Presidente della Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti; Valeria Amendola dell’Autorità per la concorrenza, Filippo Brandolini di Utilitalia, Roberto Sancinelli di Fise Assoambiente, Massimo Centemero del CIC e Vito Belladonna di Atersir).
“Il settore italiano della gestione dei rifiuti urbani sta attraversando una delicata fase di transizione, caratterizzata dalla crescita dei player industriali e dal persistere di criticità nel quadro normativo e di governance”, avverte Alessandro Marangoni di Althesys presentando il rapporto. “Serve una strategia che – oltre a prevedere stabilità normativa, un’Autorità di regolazione indipendente e un adeguato piano infrastrutturale – richiede uno sforzo notevole su più fronti: un forte aumento della quantità e qualità della raccolta differenziata e del riciclo, consistenti investimenti in nuova capacità di termovalorizzazione, di trattamento dell’organico e di valorizzazione delle matrici riciclabili. Il tutto favorendo l’industrializzazione del settore, agevolando i processi di aggregazione e creando le condizioni per finanziare gli investimenti”.
Dopo l’energia, quello dei rifiuti è ora il settore che si rafforza e comincia ad avere numeri importanti. Mettendo assieme oltre ai “magnifici 100” – i grandi player presi in considerazione dal Rapporto WAS – anche le 114 imprese che si occupano di recupero di materiali, si arriva quasi a 10 miliardi di fatturato. Dallo studio emergono gli effetti di questo processo di consolidamento: il confine tra i due settori della raccolta e della selezione e valorizzazione, ad esempio, si sta assottigliando.
Rispetto ai maggiori Paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito) l’Italia ha ancora deficit impiantistici significativi nella termovalorizzazione che l’alto livello di riciclo compensa solo in parte. Peraltro, anche nazioni come la Germania, che aveva fino a poco tempo addietro impianti sottoutilizzati, li sta oggi saturando e quindi l’Italia dovrà essere sempre più autonoma. “L’analisi internazionale svolta in questa edizione del WAS – sottolinea Marangoni – evidenzia la necessità che il nostro Paese adotti una strategia dei rifiuti che sia politica industriale oltre che ambientale. Serve poi maggior unitarietà normativa a livello nazionale e un equilibrio tra regolazione e mercato in tutte le fasi della filiera, in particolare quelle del recupero dei materiali”.
Le fasi a valle della raccolta stanno, infatti, assumendo un ruolo strategico, sia a causa di politiche ambientali che per la ricerca di business a maggior valore aggiunto. L’esame dei principali player delinea però un comparto piuttosto frammentato e disomogeneo. Larga parte degli operatori (74%) tratta molteplici materiali, mentre il 15% si focalizza su uno solo (tipicamente carta, plastica o vetro) e l’11% circa su due materiali (per lo più carta e plastica o plastica e metalli). Nel complesso, la marginalità di queste imprese rimane piuttosto bassa. Tuttavia il settore della selezione si sta lentamente consolidando. Nel 2016 le prime dieci aziende hanno coperto il 37% circa del valore della produzione totale. La tendenza a integrare la fase di raccolta con quella di valorizzazione dei materiali da RD si conferma come uno dei driver della trasformazione in atto con la progressiva variazione del peso delle varie voci nel mix di costi e ricavi della filiera.
A guidare il processo di consolidamento e razionalizzazione del waste management, attraverso l’acquisizione o la cessione di quote societarie, soprattutto nel Nord Italia, è l’approccio industriale – avverte il WAS Report – mentre in alcune zone si riscontra un ruolo crescente dei Comuni e degli affidamenti in house. In altre aree, soprattutto al Sud, i servizi sono appaltati ad operatori privati, senza una visione strategica territoriale ed un orizzonte temporale adeguato. Permangono insomma le peculiarità del comparto con declinazioni territoriali troppo spesso diverse: i modelli industriali, i perimetri regolati e i sistemi di affidamento. Emerge quindi la necessità di un coordinamento istituzionale che garantisca unitarietà normativa in tutta Italia e che favorisca il riequilibrio nella dotazione impiantistica tra le diverse aree del Paese.