Recuperare il car fluff, ossia la frazione leggera che deriva dalla frantumazione delle autovetture, che costituisce una quota significativa del peso delle auto (fino al 20%) e che oggi in Italia finisce prevalentemente in discarica, per avvicinarsi al target europeo del 95% al 2015 (mentre oggi l’Italia si ferma ad una percentuale pari all’84,7%). Questo l’obiettivo dello studio che Aira-Associazione Industriale Riciclatori Auto, insieme a Fondazione per lo Sviluppo sostenibile, ha presentato a Roma per esaminare lo stato dell’arte nel nostro Paese e individuare soluzioni.
Ecco quanto emerso. Il primo passo è far sì che l’intera filiera si attenga scrupolosamente alle prescrizioni previste dal D.lgs. 209/2003, durante le varie fasi di trattamento dei veicoli fuori uso: messa in sicurezza, demolizione e frantumazione. Tutte le operazioni attinenti alla messa in sicurezza del veicolo, lo smontaggio delle componenti riutilizzabili, la rimozione degli pneumatici, dei grandi componenti di plastica, dei vetri e del catalizzatore, sono operazioni che vanno necessariamente eseguite presso l’impianto di demolizione e risultano fondamentali per conseguire le performance di legge.
Dalle successive operazioni di frantumazione dei veicoli, si genera il car fluff. Il fluff è composto da una frazione leggera che ammonta a circa il 90% del peso totale del fluff generato nel processo.
Sul fronte impianti, dall’analisi emerge che in Italia, allo stato attuale, è meno costoso smaltire in discarica questa componente piuttosto che in impianti ad hoc. Tra l’altro i pochi esistenti incontrano difficoltà di accettazione da parte delle comunità locali.
Uno sbocco potrebbe essere rappresentato dai cementifici (come avviene in Spagna, Belgio e Scandinavia). Ma anche in questo caso, se alcuni test hanno dimostrato un’ottima performance energetica, dall’altro hanno evidenziato la necessità di ridurre la concentrazione del cloro e di alcuni metalli presenti nel car fluff, che potrebbero rappresentare un problema per il processo e per il prodotto finale (il cemento).
“I frantumatori italiani stanno provando a dotarsi di altissime tecnologie basate sulla raffinazione che isola le frazioni leggere e lascia il residuo finale sostanzialmente senza metalli – ha spiegato Emiliano Cerluini, responsabile Hse del Gruppo Fiori – Una parte del materiale di scarto in uscita da questo impianto è un prodotto con altissimo potere calorifico che potrebbe essere sfruttato per la generazione di energia elettrica”.
Lo studio ha messo in evidenza anche un’altro aspetto: il legislatore comunitario ha disposto che gli Stati membri provvedano a definire la disciplina interna seguendo un modello basato sulla cosiddetta responsabilità estesa del produttore (Epr).
“E’ necessario partire da questo studio per affrontare sin da subito questi problemi – afferma Mauro Grotto, presidente Aira – Infatti, molto probabilmente già a partire dal 2018, il modello di governance della gestione dei veicoli fuori uso dovrà essere aggiornato. Le proposte di riforma oggi in discussione impongono che i regimi Epr debbano rispettare dei criteri minimi in tutti gli Stati membri e dispongono che ad essi debbano adeguarsi anche i produttori di veicoli o loro componenti. Aira è pronta a farlo e a collaborare con l’intera filiera per raggiungere quegli standard che l’Europa ci impone”.