Accade con una certa frequenza che, alla pubblicazione di qualche report europeo o globale sulla situazione dell’inquinamento atmosferico e acustico delle nostre città, nonché dei relativi problemi che ne derivano sulla salute delle persone, si auspichino risposte di tipo strutturale, perché i provvedimenti “emergenziali” (targhe alterne, blocchi giornalieri del traffico, ecc.) costituiscono solo dei palliativi per fronteggiare situazioni di emergenza, nel tentativo di abbattere punte di inquinamento particolarmente significative.
È stato detto più volte che i determinanti principali per l’inquinamento delle nostre città sono la mobilità, i riscaldamenti e, soprattutto in alcune zone del paese, gli impianti industriali. Il tutto, naturalmente, amplificato dalle condizioni orografiche e meteorologiche. Il tema della mobilità è, quindi, strettamente connesso a quello dell’ambiente e della salute, o, in termini più generali, alla qualità della vita delle nostre città.
Laddove gli spostamenti delle persone nella realtà urbana sono prevalentemente effettuati con mezzi privati il traffico rappresenta una fonte determinante in termini di inquinamento atmosferico e acustico, anche se il miglioramento delle prestazioni in termini di emissioni dei veicoli verificatosi negli ultimi decenni ha sicuramente avuto effettivi positivi.
Una delle politiche strutturali possibili per le città è quella della realizzazione di sistemi tranviari, che, laddove funzionanti, hanno incontrato ovunque un notevole successo. Il successo di questo mezzo di locomozione è legato alla buona accessibilità, all’elevato comfort, ai bassi livelli di rumore e alle zero emissioni locali. Il suo sviluppo – soprattutto laddove strettamente connesso con logiche di riorganizzazione urbana – ha in genere permesso di riqualificare aree urbane degradate, ridurre il traffico stradale e aumentare lo spazio fruibile da pedoni e ciclisti.
In diversi paesi europei le reti tranviarie si sono sviluppate già da alcuni decenni, mentre in Italia siamo ancora indietro. D’altra parte la storia del tram viene da lontano, come bene ha descritto Giovanni Mantovani in Un tram che in Italia si chiama desiderio:
“Il grande sviluppo delle reti tranviarie fu dovuto alla trazione elettrica, che debuttò in Italia nel 1890, con la linea Firenze-Fiesole. Nei decenni successivi il tram divenne il mezzo di trasporto urbano dominante; per esempio nel 1929 vi erano a Roma, città allora di un milione di abitanti, 800 motrici tranviarie e 280 rimorchi che servivano 51 linee, su una rete di 140 km, mentre gli autobus avevano un ruolo del tutto secondario. Negli anni Trenta iniziò un declino che nel Dopoguerra divenne in molti Paesi dirompente per varie ragioni: lo sviluppo delle metropolitane nelle città più grandi, i progressi tecnici di autobus e filobus, spesso l’obsolescenza di impianti e vetture e anche i danni della guerra, lo spazio da dare sulle strade alla motorizzazione privata, gli interessi a questa connessi. Il declino si può misurare ricordando che nel 1940 le città italiane che disponevano di un sistema tranviario urbano erano 45, mentre 33 anni dopo si erano ridotte a quattro (Torino, Milano, Roma e Napoli, non considerando la linea sopravissuta a Trieste, di tipo particolare e prevalentemente suburbana). In Francia nel 1966 le reti urbane si erano ridotte a tre sole (Lille, Saint Etienne e Marsiglia) e ampie dismissioni si sono avute in altri Paesi europei; non ovunque, giacché nell’Europa centrale (Germania, Svizzera, Austria) e in quella orientale il tram ha mantenuto un ruolo importante.
L’illusione che il trasporto pubblico potesse assumere una funzione secondaria a fronte del dilagare delle automobili non è però durata a lungo; il diffondersi della congestione nelle strade e di altri effetti dannosi del traffico ha riproposto la necessità di un efficiente trasporto pubblico come elemento primario della mobilità urbana e, in tale quadro, il tram è dove era stato cancellato, con una specifica vocazione di sistema primario nelle città di medie dimensioni e di sistema integrativo delle metropolitane in quelle più grandi. Il Paese in cui il ritorno del tram è stato non solo di maggiore entità ma ha anche avuto un’elevata qualità dell’inserimento urbano è la Francia; la prima città è stata Nantes nel 1985 e oggi sono ventisei i nuovi sistemi tranviari, che si aggiungono ai due mai dismessi (l’ultima linea di Marsiglia fu chiusa per consentire la realizzazione del nuovo sistema). È interessante il caso di Strasburgo, dove una forte contrapposizione politica tra la scelta della metropolitana e quella del tram si è conclusa a favore del tram e ha portato a realizzare una rete di grande successo, che oggi conta sei linee. In Italia, invece, il primo nuovo sistema è stato quello di Messina, nel 2003, e oggi sono otto con l’inaugurazione della prima linea di Palermo. Si può notare che da noi si è fatto molto meno, non solo dal punto di vista del numero di nuovi sistemi, ma anche da quello della loro estensione: quello di Venezia è costituito da due linee e a Cagliari si è recentemente aggiunta alla metrotranvia una tratta di tram-treno, mentre tutti gli altri sistemi hanno oggi una linea sola e la somma della lunghezze degli impianti si ferma a 74 km, contro i 705 della Francia”.
In Italia hanno resistito allo smantellamento avvenuto negli anni cinquanta delle preesistenti reti tranviarie solo quelle delle città più grandi (in particolare Milano e Torino, ed, in misura minore, Roma, Napoli e Palermo); tutte comunque città in cui in realtà – per le loro dimensioni – l’infrastruttura di trasporto principale dovrebbe essere la metropolitana (per tale ambito vedi il rapporto di Legambiente “Pendolaria: città europee a confronto”.)
In Italia nelle 21 città medie, fra 150 e 500 abitanti, è presente una linea tranviaria solamente in 6 casi: Firenze, Messina, Venezia, Trieste, Cagliari e Padova (su gomma). [Istat, Mobilità urbana]
In Francia nelle 15 città della medesima classe dimensionale sono presenti reti tranviarie in 13 casi per un complesso di 37 linee, come descritto in dettaglio nella seguente tabella.
D’altra parte, l’ultima vera e propria legge dedicata al finanziamento della realizzazione di infrastrutture urbane di trasporto (tranvie e metropolitane) è la legge 211 del 1992, sulla cui applicazione esiste uno studio dell’Isfort, che costituisce un utile riferimento alla situazione aggiornato al primo decennio di questo secolo.
Probabilmente sarebbe necessario che nell’agenda delle decisioni prioritarie da assumere, anche in termini di rilevanti investimenti pubblici, si riprendesse a discutere una vera e propria “cura del ferro” (metropolitane e tranvie) per le aree urbane sopra i 150.000 abitanti del nostro Paese, come modo davvero lungimirante di affrontare le questioni dell’inquinamento atmosferico, del rumore, della qualità della vita delle nostre città. Certo, nel breve periodo, le città che fanno questa scelta, come Firenze, devono scontare gli inevitabili disagi dei cantieri, ma nel medio-lungo periodo potranno usufruire di vantaggi in termini di vivibilità, che altrimenti non sarebbero conseguibili.
Ulteriori approfondimenti sono disponibili sul sito ASSTRA: gli Atti del 7° CONVEGNO NAZIONALE SISTEMA TRAM – GIORNATE STUDIO “I sistemi a via guidata per il TPL: tra tradizione e innovazione”, organizzato da ASSTRA, AIIT e CIFI con l’alto coordinamento del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si è svolto presso la sede del Ministero e della Motorizzazione civile, lo scorso 13 e 14 giugno.
In particolare segnaliamo l’intervento di Elena Molinaro e Giovanni Mantovani “Analisi comparata degli sviluppi tranviari in alcuni paesi europei“