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Terra dei Fuochi: condanna storica per l’Italia dalla Corte europea dei diritti umani

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foto: Ministero dell'interno

La Corte europea dei diritti umani ha emesso una sentenza storica condannando l’Italia per l’inerzia e la mancata tutela della popolazione della Terra dei Fuochi, l’area tra le province di Napoli e Caserta devastata dall’interramento illegale di rifiuti tossici e dai roghi incontrollati di immondizia. La decisione arriva dopo undici anni dalla presentazione del ricorso da parte di 41 residenti e 5 associazioni, riconoscendo un rischio di morte “sufficientemente grave, reale e accertabile”, qualificabile come “imminente”.

Un disastro ambientale e sanitario senza precedenti

Le vicende della Terra dei Fuochi risalgono ai primi anni ’90, quando iniziarono le prime denunce sulla presenza di discariche abusive e sull’inquietante connubio tra criminalità organizzata e traffico illecito di rifiuti. Le indagini rivelarono che milioni di tonnellate di rifiuti industriali provenienti da altre regioni italiane venivano illegalmente sepolti nelle campagne campane, spesso sotto coltivazioni e in prossimità di falde acquifere.

L’allarme si intensificò nel 2003, quando Legambiente coniò il termine “Terra dei Fuochi”, evidenziando il fenomeno dei roghi tossici notturni in cui venivano bruciati materiali altamente inquinanti, tra cui scarti tessili e copertoni. Già nel 2005, l’Istituto Superiore di Sanità elaborò un dossier che dimostrava l’incidenza anomala di tumori e malattie gravi tra la popolazione locale. Il progetto Sentieri, avviato successivamente, rilevò un eccesso di mortalità del 6% negli uomini e del 5% nelle donne rispetto alla media nazionale, con casi di cancro, leucemie e patologie respiratorie in aumento vertiginoso.

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La sentenza della Corte di Strasburgo e le responsabilità dello Stato

Secondo la Corte europea, l’Italia non ha fornito una risposta adeguata e coordinata per affrontare l’emergenza ambientale e sanitaria della Terra dei Fuochi. I progressi nel valutare l’impatto dell’inquinamento sono stati lenti, e la lotta contro lo smaltimento illegale dei rifiuti è risultata insufficiente. Un elemento particolarmente grave sottolineato dai giudici è la mancanza di trasparenza da parte delle autorità: per anni, informazioni vitali sui rischi per la salute sono state nascoste dietro il segreto di Stato.

Tra le testimonianze più significative, emerge quella di Alessandro Cannavacciuolo, nipote di Vincenzo e figlio di Mario, due pastori di Acerra che denunciarono per primi la presenza di rifiuti tossici nelle campagne. I loro greggi furono contaminati da livelli altissimi di diossina e abbattuti, mentre entrambi morirono di tumore. Lo stesso Cannavacciuolo denuncia come, nonostante l’aumento dei controlli, gli sversamenti abusivi continuino e le bonifiche siano rimaste incompiute.

Un lento percorso verso la giustizia ambientale

Negli ultimi anni, sono stati fatti alcuni passi avanti. Il decreto “Terra dei Fuochi” del 2013 ha introdotto misure per la mappatura dei terreni inquinati, l’inasprimento delle pene per chi appicca roghi illegali e un rafforzamento dei controlli ambientali. Tuttavia, la risposta istituzionale è stata frammentaria e tardiva: la prima sentenza definitiva contro i responsabili di una discarica abusiva è arrivata solo nel 2021, ben 27 anni dopo le prime denunce.

Il vicepresidente della Regione Campania, Fulvio Bonavitacola, ha dichiarato che “è stata avviata un’importante azione di bonifica”, ma che i lavori dovranno proseguire per anni. Tuttavia, le associazioni ambientaliste e i comitati locali sottolineano come le risorse siano state spesso dilapidate e gli interventi siano rimasti insufficienti a garantire una vera riqualificazione del territorio.

Le prospettive future: due anni per agire

La sentenza della Corte di Strasburgo impone all’Italia un termine di due anni per adottare misure concrete volte a ridurre i rischi per la popolazione. Il mancato rispetto di questo impegno potrebbe portare a ulteriori condanne e possibili risarcimenti per i cittadini danneggiati.

Questa storica decisione rappresenta una vittoria per le comunità locali e per tutti coloro che, come Don Maurizio Patriciello e le associazioni ambientaliste, hanno lottato per portare alla luce uno dei peggiori disastri ambientali della storia italiana. Tuttavia, senza un intervento serio e immediato, il rischio è che la Terra dei Fuochi rimanga una ferita aperta, dove l’inquinamento e l’omertà continuano a minacciare la salute e il futuro di milioni di persone.

Il ruolo della criminalità organizzata

Uno degli aspetti più gravi della crisi ambientale della Terra dei Fuochi è il ruolo della criminalità organizzata. Le indagini hanno dimostrato come clan camorristici abbiano gestito per decenni il traffico illecito di rifiuti, guadagnando milioni di euro dallo smaltimento abusivo. Questo sistema ha reso la Campania una discarica a cielo aperto, compromettendo la salute pubblica e l’economia locale.

Le inchieste della magistratura hanno portato alla luce una fitta rete di complicità tra imprenditori senza scrupoli e organizzazioni criminali, con il coinvolgimento di aziende del Nord Italia che smaltivano illegalmente i loro rifiuti industriali nel Sud del Paese. Nonostante alcune condanne eccellenti, il fenomeno non è stato completamente debellato, e ancora oggi si registrano episodi di smaltimento illecito e incendi dolosi di rifiuti.

La reazione della società civile

Nonostante l’inerzia istituzionale, la società civile non è rimasta a guardare. Numerosi comitati cittadini, associazioni ambientaliste e singoli attivisti hanno portato avanti una lunga battaglia per denunciare la situazione e chiedere giustizia. Il parroco Don Maurizio Patriciello è diventato uno dei volti simbolo della lotta contro l’inquinamento nella Terra dei Fuochi, ricevendo minacce per le sue denunce coraggiose.

Anche il mondo scientifico ha dato un contributo fondamentale, fornendo dati e analisi per dimostrare la correlazione tra inquinamento ambientale e aumento delle malattie. Tuttavia, per ottenere risultati concreti, è necessario che le istituzioni si impegnino con maggiore determinazione nella bonifica dei territori e nella prevenzione di nuovi crimini ambientali.