“Non è solo uno spreco di risorse economiche, lasciare all’abbandono e quindi al degrado un’area bonificata, la prima tra le pochissime bonifiche viste in Terra dei fuochi, ma è un devastante segnale verso i cittadini che nutrono ancora speranze di cambiamento su un territorio martoriato. La politica tutta si senta responsabile di questo ‘spreco di speranza’”. Il giudizio di Maria Teresa Imparato, responsabile di Legambiente Campania, è lapidario. Parliamo di un progetto di eccellenza a rischio, simbolo di una politica strabica e poco sveglia, più avvezza a intrighi di corte che al risanamento della natura.
Parliamo di San Giuseppiello un sito agricolo di sei ettari, a due passi da Giugliano, alla periferia nord di Napoli, sulla strada per il casertano. Adesso un bosco di pioppi avanza spavaldo lasciando correre nel suo terreno l’istrice e la lepre. È impensabile che qui, fino a poco tempo fa, il panorama era devastato da rifiuti inquinanti. Al tempo del dominio incontrastato dei clan camorristici come i Vassallo infatti, questa terra era un enorme sversatoio di fanghi contenenti zinco, idrocarburi e cromo provenienti soprattutto dal nord Italia.
Una collina di veleni si è formata dalla cattiva gestione della Resit, 900mila tonnellate di rifiuti ammassati dal clan Bidognetti, una quantità enorme, accumulata negli anni. Non sono mancati pellami, scarti speciali e pericolosi, senza dimenticare i fanghi alla diossina di Seveso, metalli pesanti e batteri. Un miscuglio da girone infernale contro cui ha combattuto il commissario alla bonifica Mario De Biase. Un contributo salvifico per il risanamento di questa terra è arrivato dai ricercatori della storica Università Federico II di Napoli che hanno trasformato una cloaca in un parco.
“A fronte della soluzione di prelevare il terreno scavando sino a un metro di profondità, trasportarlo all’estero per risanarlo con circa 20 milioni di euro, si è risolto il problema qui, evitando che migliaia di camion invadessero le autostrade per portare in discarica un pezzo di Campania”. È il commento del professor Massimo Fognano, uno dei protagonisti del progetto. I ricercatori e lo stesso De Biase hanno risanato il tutto in Italia, spendendo un ventesimo di quanto previsto.
Le radici delle piante, in particolare della senape indiana, hanno assorbito i residui pericolosi, realizzando un esempio virtuoso per la Campania, un parco che dall’alto si fa ammirare per ordine e misura in un ambiente in cui spesso il caos prende il sopravvento. I rifiuti sono stati sigillati per evitare contaminazione soprattutto alle acque. Con il CNR di Portici sono state monitorate le emissioni nocive dove il rischio maggiore era costituito dalla contaminazione atmosferica, una bomba ecologica enorme. Dopo inchieste e arresti si è cercato di salvare la maggiore falda acquifera campana.
Oggi più di 8mila arbusti proteggono l’ambiente, ma non tutto va bene. Da agosto la struttura è oggetto di violenti attacchi vandalici tesi a distruggere quanto sinora è stato costruito. Auto bruciate, porte scardinate e archivi rubati, sono atti tesi a far capire che si vuole trasmettere paura e a bloccare l’opera realizzata. A dicembre il commissario De Biase ha terminato il suo mandato e non si capisce ancora chi e come proseguirà la protezione di questa fetta d’Italia salvata da camorra e speculazione. “Abbiamo dimostrato che è possibile risanare e salvare il suolo agricolo. È un patrimonio per il futuro. Spero possa essere un esempio per tutte le terre avvelenate da pratiche scriteriate e criminali”, commenta speranzoso Mario De Biase.
Se lo Stato non interviene si blocca un enorme lavoro, un risanamento ambientale da manuale: qualcuno gestirà la continuazione del lavoro o verrà perduta una felice occasione di riscatto?