Lo spreco di cibo continua ad essere un problema drammatico su scala globale ma anche e soprattutto in Italia, dove ciascun cittadino ogni giorno spreca alimenti per una media di 960 Kilo Calorie, che sono circa un terzo del fabbisogno quotidiano di un adulto. Un valore altissimo e preoccupante, che supera quello già elevato a livello mondiale, secondo cui ciascun abitante della terra butta via in media 660 Kcal ogni giorno: lo spreco alimentare è un dramma in primo luogo ambientale, e lo conferma il fatto che nel 2016 ha prodotto emissioni di gas serra per oltre il 7% di quelle globali.
Sono dati contenuti nel primo rapporto tecnico realizzato dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sull’argomento, secondo cui lo spreco nel nostro paese, se misurato in termini energetici è “stimabile intorno al 60% della produzione iniziale”. Questo significa, come spiega uno dei curatori, Lorenzo Ciccarese, che il dato lievita se si prende in considerazione anche la fase di produzione degli alimenti e non solo, come fatto quasi sempre finora, il momento in cui cibi scaduti o non consumati vengono gettati via da mercati e ristoranti. Secondo l’esperto, spesso “non vengono prodotti alimenti che rispondano realmente ai bisogni dei cittadini”, che a loro volta hanno perso “contatto con la stagionalità”, ad esempio per frutta e verdura, e trovano normale avere nei supermercati le arance d’estate o i pomodori d’inverno, senza considerare “l’aggravio in termini di emissioni creato dal trasporto di questi prodotti per migliaia di chilometri”.
C’è poi un problema legato alla “standardizzazione dei prodotti”, che devono avere sempre le dimensioni imposte dal mercato industriale, altrimenti vengono inevitabilmente scartati già in fase di produzione e abbandonati nei campi. È il caso di cavolfiori, angurie, carciofi e uva che dopo la prima raccolta producono altri esemplari più piccoli, che gli stessi agricoltori non raccolgono quasi mai: il fuori taglia è poi un problema grosso per quanto riguarda il pesce, che spesso viene ributtato in mare, quindi sprecato, quando non corrisponde alle dimensioni (presunte) volute dal consumatore.
Infatti il report ISPRA parla di un aumento degli sprechi tra produzione e fornitura del 48% tra 2007 e 2011, mentre l’inefficienza degli allevamenti animali causa il 55% dello spreco globale, che in Italia arriva fino al 62%. Abbiamo un poi un problema di “sovralimentazione in fortissimo aumento”, del 144% in appena 4 anni, anche questo uno spreco, oltretutto fonte “di malattie e disordini fisiologici, visto che mangiamo troppo e abbiamo indici di obesità tra i più alti al mondo”.
Per Ciccarese molto dipende dalla meccanizzazione dell’agricoltura, che ha richiesto un miglioramento genetico “tutto basato sulla contemporaneità della maturazione e fioritura”, e ha come conseguenza l’esclusione dal mercato degli ecotipi locali e quindi la riduzione della diversità genetica, che “rende la popolazione più vulnerabile”.
A rischio è addirittura la capacità di rigenerazione dei nostri territori, a causa di quello che i tecnici chiamano “deficit di biocapacità”: attualmente in Italia abbiamo una biocapacità ancora all’80% ma in ribasso, visto che in 30 anni si sono persi milioni di ettari di superficie agricola, passando da 15 a 12 milioni.
Le risposte negli ultimi anni stanno arrivando con l’impegno delle istituzioni preposte alle politiche ambientali, come conferma la Sottosegretaria all’Ambiente, Barbara Degani, che ricorda come il Ministero dell’Ambiente sia “da tempo impegnato su questo fronte”, in particolare favorendo e sostenendo coloro che lavorano concretamente per la riduzione dello spreco, come accade “col progetto Reduce, finanziato dal 2010 dal MATTM con l’impegno di partner come l’Università di Bologna”.
Il progetto ha un blog molto dettagliato dove si spiega anche ai cittadini cosa fare per evitare il più possibile di consumare inutilmente risorse alimentari, e si propone in particolare di migliorare la conoscenza sugli sprechi, specie quelli legati alla ristorazione e al consumo domestico, integrare con misure di prevenzione i Piani Regionali sui rifiuti e i bandi di gara per la ristorazione collettiva, e “sensibilizzare ed educare i consumatori” su queste tematiche, promuovendo comportamenti antispreco e le condivisione delle buone pratiche già diffuse in Italia e fuori.