Rischiano la paralisi le attività di raccolta e riciclo dei rifiuti, dopo la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio (n.1229) che ha stabilito che non spetta alle Regioni individuare i criteri che consentono ai materiali prodotti dal riciclo di non essere più considerati rifiuti, ma “materia prima secondaria”. L’allarme viene lanciato da Andrea Fluttero, presidente dell’Unione delle Imprese dell’Economia Circolare che si è appellato al ministero dell’Ambiente perché venga scongiurata un’ulteriore emergenza connessa alla gestione dei rifiuti in Italia.
Ma che cosa cambia la sentenza? Le Regioni non potranno più stabilire, come fanno in genere con una autorizzazione ordinaria, quando il riciclo dei rifiuti può dirsi completato, cioè quanto cessa la qualifica di rifiuto (End of waste) e diventa un’altra materia. Secondo la sentenza la cessazione di un rifiuto “in quanto tale” compete in prima battuta all’Europa, in seconda allo Stato, ma mai alle Regioni e tanto meno alle Province.
Ad oggi però tale potere di regolamentazione non è stato esercitato nè dall’Europa nè dall Stato e i tempi tecnici perché possa farlo non sono certo brevi. E qui cominciano i rischi: il decreto 5 febbraio 1998 sul recupero in procedura semplificata non offre una copertura sufficiente alle imprese che operano nei settori del riciclo. La norma è infatti ormai superata, sia come standard tecnici che come applicazioni in quanto riguarda solo determinate tipologie di rifiuti e determinate attività di riciclo. Questo il motivo per cui Le Regioni hanno definito in autonomia le caratteristiche delle materie prime ottenute dai rifiuti, le hanno autorizzate in modo da poterle riciclare. Ma queste autorizzazioni regionali potrebbere essere non rinnovate o revocate. Il risultatao sarebbe un blocco del sistema visto i rifiuti non ancora regolamentati in “End of waste” (ossia in prodotti e materiali commercializzabili e utilizzabili al posto delle normali materie prime) limiterà drasticamente gli sbocchi di mercato. Provocando tra l’altro il blocco dei ritiri di migliaia di tonnellate di rifiuti.
Questa situazione aggrava un mercato già in crisi: dal primo marzo la Cina ha ridotto drasticamente le importazioni di rifiuti già trattati da riciclare. Né il recupero energetico potrà rappresentare una soluzione alternativa, vista l’insufficienza di impianti sul nostro territorio e il progressivo (e auspicato) abbandono delle discariche deciso dalle norme nazionali ed europee.
Sono centinaia gli impianti che, nei settori rappresentati dalle associazioni del mondo Unicircular, riciclano rifiuti (tra gli altri: pneumatici fuori uso, rifiuti elettrici ed elettronici, rifiuti inerti da costruzione e demolizione, ceneri da termovalorizzatori) grazie ai criteri EoW stabiliti nei provvedimenti autorizzativi dalle autorità locali, che ora potrebbero non rinnovarli o addirittura revocarli in autotutela, causando il blocco delle attività.
“E’ l’ennesima situazione paradossale” commenta Andrea Fluttero “che le imprese impegnate nella gestione dei rifiuti si trovano a subire. Il principio sancito dalla sentenza, nella sua generalizzazione, porta alla drastica riduzione del riciclo ed è contrario al concetto di economia circolare e alla gerarchia europea sui rifiuti. Si rischiano conseguenze molto gravi per l’igiene pubblica, la salvaguardia dell’ambiente
e per la stessa sopravvivenza di molte imprese del settore. Bloccare le attività legali poi non fa che creare più spazio ai traffici illeciti dei rifiuti. Abbiamo chiesto con urgenza agli uffici del ministero dell’Ambiente un confronto per cercare soluzioni”.