La sfida dell’economia circolare riguarda anche il mondo delle attività estrattive, perché è possibile ridurre il prelievo di materiale e l’impatto delle cave nei confronti del paesaggio, dare una nuova vita a una cava dismessa e percorrere la strada del riciclo degli aggregati.
A dimostrarlo sono tanti paesi europei che hanno deciso di puntare sul riciclo degli inerti, ma anche diversi esempi italiani anche se per l’Italia la strada è ancora lunga e in salita. Nella Penisola si continua a scavare troppo e con impatti devastanti sull’ambiente (dalle Alpi Apuane alle colline di Brescia, da Trapani a Trani) e la strada del riciclo, malgrado la spinta delle Direttive europee, è ancora molto indietro.
La crisi del settore edilizio degli ultimi anni ha fatto registrare una riduzione del numero di cave attive (-20,6% rispetto al 2010), ma sono ben 4.752 le cave attive e 13.414 quelle dismesse nelle Regioni in cui esiste un monitoraggio. Se a queste aggiungessimo anche quelle delle regioni che non hanno un monitoraggio (Friuli Venezia Giulia, Lazio e Calabria), il dato potrebbe salire ad oltre 14mila cave dismesse. Sono poi 53 milioni di metri cubi la sabbia e la ghiaia estratti ogni anno, materiali fondamentali nelle costruzioni, 22,1 milioni di metri cubi i quantitativi di calcare e oltre 5,8 milioni di metri cubi di pietre ornamentali estratti. In nove Regioni italiane non sono in vigore piani cava e le regole risultano quasi ovunque inadeguate a garantire tutela e recupero delle aree. Rilevanti sono, invece, i guadagni per i cavatori: 3 miliardi di Euro l’anno il ricavato dai cavatori dalla vendita di inerti e pietre ornamentali a fronte di canoni di concessione irrisori (2,3% di media per gli inerti e Regioni in cui è gratis). Crescita record per il prelievo e le vendita di materiali lapidei di pregio, con esportazioni in crescita (2 miliardi di Euro nel 2015), ma si riduce il lavoro in Italia nel settore.
È quanto emerge dal Rapporto Cave di Legambiente, che dal 2009 effettua un monitoraggio della situazione delle attività estrattive, e scatta una fotografia puntuale sui numeri e gli impatti economici e ambientali, delle regole in vigore nelle diverse Regioni, individuando anche le opportunità che esistono puntando sull’economia circolare. Nel Rapporto, realizzato con il contributo di Fassa Bortolo, sono raccolte non solo storie da tutta Italia, che raccontano l’impatto sul paesaggio italiano, ma anche buone pratiche realizzate nella Penisola ed esempi virtuosi riguardanti la gestione dell’attività estrattiva (in sotterraneo e con contestuale recupero delle aree) e il recupero delle cave dismesse per creare parchi e ospitare attività turistiche, ma anche di cantieri dove si sono usati materiali provenienti dal riciclo invece che sabbia e ghiaia (in autostrade e persino nello Stadio della Juventus).
Il dossier è stato presentato questa mattina a Roma nel corso della conferenza stampa che ha visto la partecipazione di: Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, Ermete Realacci, Presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, Silvia Velo, Sottosegretario del Ministero dell’Ambiente, Alessandro Olivi, Vicepresidente e Assessore allo sviluppo economico Provincia di Trento, Paolo Fassa, Presidente Fassa Srl, Salvatore Lisi, AITEC e Serena Majetta, Anas, Direzione Ingegneria e sviluppo di Rete.
“Per Legambiente occorre promuovere una profonda innovazione nel settore delle attività estrattive – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente –, dove non è utopia pensare di avere più imprese e occupati nel settore, proprio puntando su tutela del territorio, riciclo dei materiali e un adeguamento dei canoni di concessione ai livelli degli altri Paesi europei. La sfida per i materiali di pregio è di mantenere in Italia le lavorazioni dei materiali, dove il tasso di occupazione è più alto. Mentre per gli inerti l’obiettivo è di spingere la filiera del riciclo, che garantisce almeno il 30% di occupati in più a parità di produzione, e che può garantire prospettive di crescita molto più importanti e arrivare a interessare l’intera filiera delle costruzioni. Ma per realizzare ciò servono delle scelte e delle politiche chiare da parte di Governo e Regioni”.
Riguardo il materiale cavato, dal Rapporto Cave emerge che la Lombardia è la prima regione per quantità cavata di sabbia e ghiaia, con 19,5 milioni di metri cubi estratto. Seguono Puglia (con oltre 7 milioni di metri cubi), Piemonte (4,8 milioni), Veneto (4,1) ed Emilia-Romagna con 4 milioni circa. Per quanto riguarda le pietre ornamentali, le maggiori aree di prelievo sono: Sicilia, Provincia Autonomia di Trento, Lazio e Toscana che insieme costituiscono il 53,4% del totale nazionale estratto. Le Regioni che invece cavano più calcare sono Molise, Lazio, Campania, Umbria, Toscana e Lombardia che superano singolarmente quota 1,5 milioni di metri cubi.
Nel dossier l’associazione ambientalista sottolinea anche un grave problema: la mancanza di piani cava in Veneto, Abruzzo, Molise, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Calabria, Pr. Bolzano, Basilicata e Piemonte (dove sono previsti Piani Provinciali), mentre nella maggior parte delle Regioni sono inadeguati i vincoli di tutela e mancano obblighi di recupero contestuale delle aree. Per Legambiente l’assenza dei piani è particolarmente preoccupante, perché si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione in Regioni dove è forte il controllo da parte della criminalità organizzata.
Prelevare e vendere materie prime del territorio è infine un’attività altamente redditizia a fronte di canoni di concessione pagati da chi cava a dir poco scandalosi. In media nelle Regioni italiane si paga il 2,3% del prezzo di vendita di sabbia e ghiaia (27,4 milioni a fronte di 1.051 milioni di volume d’affari). Ancora maggiori i guadagni per i materiali lapidei dove è in forte crescita il prelievo e l’esportazione di materiali. In diverse regioni addirittura si cava gratis: succede in Valle d’Aosta, Basilicata, Sardegna, ma anche Lazio e Puglia dove si chiedono pochi centesimi di euro per cavare inerti. Legambiente ricorda che l’ultimo intervento normativo dello Stato nel settore è il regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927, ma è evidente che senza un controllo dell’operato delle Regioni la situazione è insostenibile sia in termini di tutela del territorio, che di controllo della legalità e di riduzione del prelievo da cava. Per altro le Direttive europee prevedono che entro il 2020 il recupero dei materiali inerti dovrà raggiungere quota 70%.
Per Legambiente le tre scelte per rilanciare il settore sono: rafforzare tutela del territorio e legalità attraverso una Legge quadro nazionale che stabilisca le aree in cui l’attività di cava è vietata e obblighi il recupero contestuale delle aree e la valutazione di impatto ambientale, ecc.); stabilire un canone minimo nazionale per le concessioni di Cava per equilibrare i guadagni pubblici e privati e tutelare il paesaggio. Se fossero applicati i canoni in vigore nel Regno Unito (20% del valore di mercato) si recupererebbero 545 milioni di Euro all’annodi incassi per le Regioni. Dal primo Rapporto Cave di Legambiente, del 2009 si può stimare che siano state sottratti canoni per oltre 3,5 miliardi di Euro; ridurre il prelievo da cava attraverso il recupero degli inerti provenienti dall’edilizia, per andare nella direzione prevista dalle Direttive Europee e riuscire così ad aumentare il numero degli occupati e risparmiare la trasformazione di altri paesaggi.
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