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Quando la raccolta dei rifiuti diventa virtuosa

l numero degli impianti necessari a trattare i rifiuti differenziati continua a essere insufficiente e prelude a nuove emergenze. La regolazione incentivante infatti da sola non basta. Occorre prendere esempio dalle poche regioni autosufficienti

La regolazione incentivante

Nelle scorse settimane si è chiusa la prima consultazione pubblica sul futuro assetto della regolazione dei rifiuti urbani.

Con il mandato conferito all’Autorità per energia, reti e ambiente (Arera), il legislatore ha indicato nella regolazione incentivante lo strumento per sopperire alle carenze di impianti nel ciclo dei rifiuti urbani.

Infatti, se da un lato le condanne e le sanzioni della Corte di giustizia europea per la mancata chiusura delle discariche hanno dato una spinta alle raccolte differenziate, dall’altro non aver realizzato gli impianti necessari a trattare i rifiuti differenziati (in particolare per l’organico) prelude a nuove emergenze.

Il settore dei rifiuti urbani è fortemente regolato: gli impianti devono essere pianificati dalle regioni, sottoposti a un complesso percorso autorizzativo e di valutazione dell’impatto ambientale.

Le regolazione incentivante può conferire certezza agli investitori, ma ha le armi spuntate se i territori hanno obiettivi non allineati con quelli regionali o, ancora di più, quando si oppongono alla costruzione degli impianti.

In un mercato fortemente governato da procedure autorizzative, l’incentivo economico è condizione necessaria, ma non sufficiente affinché gli impianti che mancano siano realizzati.

L’esempio di due regioni virtuose

La pianificazione regionale (codificata nei Piani regionali di gestione dei rifiuti) è lo strumento con il quale ogni regione misura i propri fabbisogni e verifica di essere o meno autosufficiente nello smaltimento dei rifiuti urbani. Laddove si rinvenga un deficit nel trattamento dei rifiuti, le regioni dovrebbero “pianificare” gli impianti necessari.

I divari impiantistici tra territori presenti nel paese, e segnatamente nelle regioni esposte a periodiche emergenze, documentano la scarsa lungimiranza o imperizia delle valutazioni.

Occorre prendere esempio dalle poche regioni autosufficienti. Tra queste, vi sono Emilia-Romagna e Lombardia, che hanno fatto scelte diverse.

In Emilia-Romagna vi è un unico Ambito territoriale ottimale, di dimensione regionale. Attraverso la pianificazione d’ambito, l’agenzia regionale (Atersir) “dirige” i flussi di rifiuti urbani indifferenziati agli impianti e definisce le tariffe “al cancello” degli inceneritori e delle discariche.

In Lombardia, invece, i rifiuti urbani indifferenziati possono circolare liberamente all’interno della regione, in ragione di una offerta di impianti superiore al fabbisogno. Incenerimento e smaltimento in discarica avvengono negli impianti che si aggiudicano le gare bandite dai comuni.

Tabella 1

Prezzi di mercato o tariffe regolate?

La regolazione dovrebbe fissare i criteri per le tariffe degli impianti che ricevono rifiuti urbani sulla base di una precisa pianificazione dalle regioni.

Laddove non pianificati, i rifiuti dovrebbero invece rimanere liberi di trovare destinazione in un impianto nel territorio regionale, sulla base di prezzi aggiudicati tramite gara.

La regolazione Arera dovrebbe dunque essere lo strumento attraverso il quale le regioni:

➢ pianificano gli impianti di cui i territori hanno bisogno: tariffe certe che recuperano i costi di investimento possono essere un efficace strumento coadiuvante;

➢ possono innescare un miglioramento della qualità del servizio;

➢ possono assicurare il rispetto della gerarchia dei rifiuti: impianti più impattanti per l’ambiente dovrebbero infatti avere tariffe di accesso più elevate.

La regolazione incentivante può essere uno straordinario strumento, ma da sola non basta.