Se le matrici materiali di riporto non sono contaminate (cioè rispettano Csc- Concentrazioni soglia di contaminazione/valori di fondo) possono “sempre” essere utilizzate “in situ”. Diversamente, prima di poter riutilizzare “in situ” il riporto, occorre eliminare la fonte di contaminazione e non l’intera matrice materiale di riporto.
È questa la sintesi estrema con la quale la Direzione Generale per i rifiuti e l’inquinamento del Ministero dell’Ambiente, con apposita nota del 10 novembre scorso (protocollo 0015786), affronta l’inevitabile intreccio tra materiali di riporto e terre e rocce di scavo di cui al nuovo Dpr 120/2017.
Inoltre, viene ribadito con grande chiarezza che, per escludere terre e rocce da scavo contenenti riporti dalla disciplina sui rifiuti, ai fini del loro riutilizzo in situ, si applicano comunque i criteri di conformità delle matrici materiali di riporto stabiliti dall’articolo 4, comma 3, Dpr 120/2017.
In perfetta e dovuta aderenza al dato normativo, al fine di «uniformare l’azione amministrativa», il Ministero dell’ambiente ha ritenuto utili alcuni chiarimenti sulla gestione di terre e rocce da scavo contenti matrici materiali di riporto. Si tratta dei materiali antropici (ad esempio, materiale di demolizione) frammisti al terreno sui quali la Direzione generale del Ministero si è espressa con l’indicata nota dello scorso 10 novembre, diretta a tutte le Regioni, all’Ance (Associazione costruttori edili – Confindustria) e all’Anci (Comuni italiani). Il Ministero ha puntualizzato alcuni aspetti sulla disciplina.
Nella logica dell’economia circolare e della sostenibilità ambientale, queste azioni sono fondamentali perché il suolo naturale è una risorsa non rinnovabile; quindi, i riporti vanno gestiti in modo sostenibile, senza cedere alla tentazione del loro smaltimento e della sostituzione con terreno vergine di cava. La definizione dei riporti è fornita dal Dl 2/2012, articolo 3, comma 1 che (a certe condizioni) ne conferma l’equiparazione al suolo. Ne deriva l’applicazione delle esclusioni dal regime dei rifiuti previste dall’articolo 185, comma 1, Codice ambientale (Dlgs 152/2006).
Il Ministero conferma quanto previsto dal Dpr 120/2017 e dalle norme che sui riporti sono intervenute nel tempo (Dl 2/2012 e Dl 133/2914) e ricompone così il quadro gestionale di terre e rocce contenenti i riporti:
• se la componente antropica frammista a quella naturale non supera il 20% in peso, quantificata secondo il metodo di cui all’allegato 10 al Dpr terre e rocce, possono essere gestite come sottoprodotti;
• se non contaminate e conformi al test di cessione del Dm 5 febbraio 1998 possono essere riutilizzate in situ perché non sono rifiuti. La verifica della non contaminazione si ha usando l’allegato 4 al Dpr 120/2017;
• se, invece, sono contaminate e non conformi all’indicato test di cessione, sono fonte di contaminazione. In tal caso si hanno tre opzioni, alternative e non cumulative fra loro:
- Rimozione mediante bonifica
La bonifica è intesa dall’articolo 240, comma 1, lettera p), Dlgs 152/2006 come un insieme di interventi tesi a eliminare le fonti inquinanti e le loro concentrazioni portandole a livello uguale o inferiore alle concentrazioni soglia di rischio (Csr). Il Ministero si esprime favorevolmente anche per la messa in sicurezza operativa. Questo perché l’articolo 3, comma 1, Dl 2/2012 fa riferimento alla normativa delle bonifiche; pertanto, anche la messa in sicurezza operativa sarà consentita. Sempreché ricorrano le condizioni previste dalla legge. - Messa in sicurezza permanente
La messa in sicurezza permenente viene fatta per poter usare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute. Vi si può far ricorso «in tutte quelle ipotesi in cui» la disciplina sulle bonifiche contempla la messa in sicurezza permanente. - Rimozione degli inquinanti
La terza ipotesi chiede che terre e rocce contenenti i riporti siano rese conformi al test di cessione mediante trattamento che rimuova i contaminanti. Si fa quando il suolo è escavato e non ricorrono le condizioni né del sottoprodotto né per il riutilizzo in situ.
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