Luci e ombre nell’accordo sull’Ilva di Taranto firmato tra ArcelorMittal e Invitalia. Tra le righe della cessione, salutata come il “ritorno dello Stato all’acciaio”, si stanno rivelando una serie di bachi giuridici e ambientali.
Li spiega nei dettagli il Sole 24 ore e sono riassumibili in due questioni spinose: come è possibile acquisire il controllo di qualcosa che è sotto sequestro giudiziario? Chi completerà i lavori ambientali di sicurezza su cui sono aperti diversi contenzioso?
L’accordo sull’Ilva in sintesi
L’accordo, così come è stato presentato il giorno dopo la firma (qui la sintesi di Ansa) prevede un aumento di capitale di AmInvest Co. Italy Spa. La società del ministero di Economia e Finanze, affittuaria dei rami di azienda di Ilva in amministrazione straordinaria, riceverà un’iniezione da 400 milioni di euro, che darà a Invitalia il 50% dei diritti di voto della società. A maggio del 2022 è programmato, poi, un secondo aumento di capitale, che sarà sottoscritto fino a 680 milioni da parte di Invitalia e fino a 70 milioni di parte di ArcelorMittal. Al termine dell’operazione Invitalia sarà l’azionista di maggioranza con il 60% del capitale della società, avendo ArcelorMittal il 40%.
Previsto anche un articolato piano di investimenti ambientali e industriali. Tra questi l’avvio del processo di decarbonizzazione dello stabilimento, con l’attivazione di un forno elettrico capace di produrre fino a 2,5 milioni di tonnellate l’anno. L’obiettivo è trasformare l’ex Ilva di Taranto nel più grande impianto di produzione di acciaio “green” in Europa, con il completo assorbimento, nell’arco del piano, dei 10.700 lavoratori impegnati nello stabilimento.
Le condizioni sospensive
Il punto critico immediatamente evidente è costituito dalla nota finale che chiude il comunicato stampa di ArcelorMittal, vale a dire le clausole sospensive per la validità definitiva dell’intesa nel maggio 2022: “Le condizioni sospensive alla chiusura dell’accordo comprendono: la modifica del piano ambientale esistente per tenere conto delle modifiche del nuovo piano industriale; la revoca di tutti i sequestri penali sullo stabilimento di Taranto; e l’assenza di misure restrittive – nel contesto di procedimenti penali in cui Ilva è imputata – imposte a AM InvestCo”.
In pratica nessuno scudo penale, ma la certezza che nell’arco di due anni vengano rimosse tutte imposizioni o procedimenti legali che pendono sul siderurgico. Un elemento che rappresenta la vera criticità di tutta l’intesa. Ma non solo.
Secondo l’analisi dettagliata fatta da Peacelink, la ricapitalizzazione di cui si parla nei comunicati sull’accordo è effettiva solo per il governo (che mette 400 milioni) ed è puramente virtuale da parte di ArcelorMittal che per ora non mette nulla. Investirà 70 milioni di euro a maggio del 2022, che non sono il 50% e nemmeno il 40% della somma totale delle due tranche governative (400+680). Verranno conteggiati come ricapitalizzazione gli affitti degli impianti già pagati? Inizialmente ArcelorMittal avrebbe dovuto pagare 45 milioni di euro a trimestre, scontati poi a 22,5 milioni. Da capire, effettivamente, come saranno conteggiati.
Problemi giuridici
Altre problematiche emerse dall’analisi di questi giorni riguardano le tempistiche discordanti tra fasi dell’accordo e procedimenti giudiziari in corso sull’Ilva. La cessione del controllo da ArcelorMittal a Invitalia è fissata per maggio 2022, quando Invitalia salirà al 60 per cento. Ma il dissequestro degli impianti Ilva è vincolato alla completa realizzazione del piano ambientale, previsto nel 2023. Solo allora sarà possibile un passaggio effettivo di proprietà. Se anche si ipotizzasse un’ultra-accelerata alla tempistica dei lavori, cambiando lo schema produttivo si dovrebbe andare a un nuovo piano ambientale. Con quali conseguenze?
Lavori in corso
Non sono poche le cose ancora da fare sugli impianti di Taranto. Tra i capitoli aperti ci sono la copertura dei due parchi delle materie prime e quella dei nastri trasportatori.
I cantieri dei due parchi sono sospesi e sotto arbitrato da febbraio 2018, quando ArcelorMittal ha rescisso il contratto con Cimolai per divergenze economiche.
Per i nastri trasportatori che fanno arrivare le materie prime agli impianti, si attende che a metà gennaio 2021 il Tar del Lazio decida sul contenzioso aperto da ArcelorMittal che ha impugnato il decreto del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, di fine settembre. Questo prevedeva che l’azienda ultimasse la copertura dei nastri e delle torri in quota entro fine gennaio 2021 e tutti i lavori entro fine aprile 2021. Tempistiche che ArcelorMittal ha contestato, ritenendole non fattibili.
Contestazioni dal territorio
Tra i conti giudiziari in sospeso c’è anche la decisione del Tar di Lecce sull’ordinanza con cui il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ha chiesto a febbraio ad ArcelorMittal e Ilva (proprietaria degli impianti) di individuare e risolvere entro 30 giorni le criticità delle emissioni. Il provvedimento del sindaco prevedeva che, in difetto di adempimento, si dovesse procedere entro i successivi 30 giorni alla fermata degli impianti dell’area a caldo.
Le contestazioni da parte del territorio si sono levate immediatamente dopo l’annuncio dell’accordo. “Non conosciamo le carte di dettaglio di questo piano e andiamo avanti con l’accordo di programma. Questo piano per noi è carta straccia, dobbiamo occuparci della salute dei tarantini”. Così il sindaco Melucci commenta su La Gazzetta del Mezzogiorno l’accordo sull’Ilva appena siglato. Comune e Regione, da tempo, intendono costituire il Tavolo per la sottoscrizione dell’Accordo di Programma per la bonifica, il risanamento ambientale, la riconversione e lo sviluppo del polo siderurgico di Taranto, con proposte alternative a quelle del governo e della multinazionale.
“Tutta la maggioranza di governo della Regione Puglia, consultata in apposita conferenza dei capigruppo, esprime il proprio netto dissenso sul contenuto dell’accordo ArcelorMittal, Invitalia, Governo italiano avente ad oggetto il gruppo Ilva. Un accordo che non tutela la salute dei tarantini e il nostro ambiente – rincara il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano – La sola idea che il raggiungimento di una produzione industriale vicina alle 6 milioni di tonnellate di acciaio, passi attraverso la ricostruzione degli altiforni, ed in particolare di AFO 5, genera sgomento”. Secondo il governatore pugliese, l’accordo “appare anacronistico e assolutamente fuori dal perimetro di decarbonizzazione che è stato per anni oggetto di discussione ed approfondimento”.