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Lo Stivale di amianto

Il 28 aprile non è un giorno come un altro. O forse sì. Il 28 aprile di ogni anno è un giorno come un altro visto che si muore anche oggi, in occasione di questa Giornata mondiale dedicata alle vittime dell’amianto nata per ricordare le morti procurate dall’inalazione di questo materiale che ha avuto un’enorme utilizzo industriale e civile “esploso” negli anni ’50 e ’60 e nella prima metà degli anni ’70.

Si conficca soprattutto nei polmoni e provoca infiammazioni che quasi sempre diventano tumori e in particolare mesoteliomi pleurici. La mortalità per il solo mesotelioma è ancora in costante aumento e nonostante in questi anni numerosi epidemiologi si siano cimentati con previsioni di picchi, quasi tutti sono già stati superati e vengono regolarmente spostati in avanti. Le ultime previsioni fanno riferimento al 2025/2030 per iniziare a registrare un calo dei decessi e delle denunce.

Ma questa Giornata mondiale ci ricorda che il problema legato all’asbesto è qualcosa che riguarda le popolazioni di tutta la terra per la gravità delle conseguenze sulla salute che questo minerale ha provocato e tutt’ora provoca. Oggi, ha calcolato l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil), muoiono per le conseguenze della lavorazione e l’utilizzo di amianto oltre 100.000 persone all’anno, una ogni 5 minuti. In Italia poco più di 10 al giorno. Ma questa stima appare non solo approssimata per difetto, ma anche limitata agli effetti delle esposizioni occupazionali ed esclude le conseguenze di quelle cosiddette paralavorative, domestiche ed ambientali, dandoci un’idea dell’entità della strage della questione amianto: uno dei più grandi crimini di pace del XX° secolo.

Del resto solo nel Belpaese dal dopoguerra fino al 1992, anno in cui è stato messo al bando, l’Italia ha prodotto oltre 3,7 milioni di tonnellate di amianto e ne ha importate almeno altre 1,8. Il risultato? Tremila morti e mezzo miliardo di euro di costi all’anno, 560mila cittadini a rischio malattia e più di 30mila strutture da bonificare. Il Ministero dell’ambiente, in collaborazione con L’Istituto Nazionale per la Prevenzione degli Infortuni sul Lavoro (Inail) e le regioni, ha censito 38mila siti contaminati, di cui 35.521 ancora da bonificare. Tra questi 779 sono stabilimenti attivi o dismessi a cui vanno aggiunti dodici siti di interesse nazionale. Oltre a Broni in Lombardia, Casale Monferrato e Balangero in Piemonte, ci sono l’area litorale vesuviana, l’area industriale della Val Basento, Biancavilla di Sicilia, Massa Carrara, Pitelli, Tito in Basilicata, l’Eternit di Priolo in Sicilia e quella di Bagnoli a Napoli oltre alla la Fibronit di Bari. Ma è una fotografia molto parziale. Mancano intere regioni, i dati della Calabria e quasi del tutto quelli siciliani, per esempio, visto che le due regioni si sono dotate di un piano amianto che ha permesso di avviare il censimento solo l’anno scorso, mancano ancora di dati certi.

A tenere alta l’attenzione su questo dramma umano costruito su un successo industriale ci pensano da anni le molte associazioni e i comitati locali che si battono non solo in tribunale per ottenere giustizia e bonifiche. L’Associazione familiari e vittime dell’amianto (AFeVa) è una di queste e ha un’intera parete della sua sede coperta di fascicoli che ricordano la storia dei quasi tremila abitanti di Casale Monferrato uccisi dalle fibre della Eternit lo stabilimento di cemento-amianto più grande d’Europa bonificato e abbattuto solo nel 2007. Ma la storia di Casale e dell’AFeVa non è solo fatta di memoria e della sconfitta contro i “baroni” dell’Eternit per la prescrizione del danno ambientale, voluta dalla Cassazione nel novembre del 2014, ma resta il miglior modello da imitare per ricominciare a vivere e progettare il futuro attraverso il controllo pubblico delle bonifiche e della discarica, la ricerca medica e quella di fondi oltre alla sensibilizzazione dei cittadini che comincia dalle scuole.

Casale già nel 1987, cinque anni prima della messa al bando nazionale dell’amianto, aveva vietato la lavorazione, la commercializzazione e l’utilizzo di qualsiasi manufatto con quella fibra e oggi “La demolizione di Eternit è l’unico intervento di un vasto insediamento di fabbricazione del cemento-amianto portato a termine in Italia”, ha sottolineato in un’interessante inchiesta su Wired Luca Gianola, assessore all’Ambiente ed ex sindaco di Mirabello Monferrato, uno dei 48 comuni che appartengono al sito di interesse nazionale di Casale. Ma l’amministrazione comunale di Casale Monferrato è in prima linea anche nelle cure mediche e tra Casale e Alessandria ha preso il via l’Ufim, “l’Unità funzionale interaziendale per il mesotelioma”, un team che affianca gli oncologi e i pazienti dal momento della diagnosi lungo tutto il percorso della malattia. “Riusciamo così ad avere un servizio di assistenza, diagnosi e cura che va dalla presa in carico del reparto Oncologia al Day Hospital fino alle cure a domicilio. È un’eccellenza che ci rende fieri – ha spiegato Daniela Degiovanni, che dirige l’équipe di Cure palliative e terapia di supporto -, ma che non ci fa dimenticare la situazione del resto d’Italia, dove chi è colpito da una patologia dovuta all’amianto è spesso lasciato da solo”.

La battaglia giudiziaria non è quindi l’unica via per battere l’amianto e da Casale è partito un esempio civile ed istituzionale di giustizia e resistenza. Un percorso necessario perché oggi, a distanza di 23 anni dal varo della legge n°257 che ha proibito l’estrazione, la lavorazione e la commercializzazione dell’amianto siamo ancora in presenza in Italia e anche nel mondo di un numero notevole di malattie correlate all’asbesto. L’esperienza italiana e quella di Casale sono per questo una lezione importante che ci ricorda come, ancora nel 2015 in questa Giornata mondiale, la prima questione da affrontare è quella di estendere il divieto d’uso di questo killer alle molte nazioni che ancora non lo hanno bandito, obbiettivo per il momento lontano ed estraneo all’agenda politica istituzionale.

(Fonte: UniMondo)