Solo l’1% dei 2mila ettari dello stabilimento Caffaro ha un progetto di bonifica approvato (ancora da realizzare). Intanto Brescia è ai vertici per patologie tumorali
L’ultimo sequestro probatorio, ad opera dei Carabininieri Forestali, con 25 capannoni pieni di veleni, risale alla vigilia di Natale. A Brescia riemerge lo scandalo delle bonifiche mancate in Italia. A distanza di 16 anni, dall’istituzione del SIN Caffaro (uno dei 58 Siti di Interesse Nazionale e regionale) sul sedime industriale non è stato fatto ancora nulla. Di più: lo stabilimento non ha mai smesso di essere una fonte inquinante, con perdite di mercurio e cromo da serbatoi e vasche esterni.
Per questo lo scorso ottobre, la Procura di Brescia ha iscritto nel registro degli indagati otto persone per inquinamento ambientale e gestione non autorizzata di rifiuti. Tra queste, anche il commissario straordinario alla bonifica, Roberto Moreni, e Marco Cappelletto, commissario liquidatore della Caffaro Chimica. «Brescia è una ferita aperta per tutto il Paese. Ora questa indagine apre una voragine ulteriore e le responsabilità, se dovessero essere confermate, sarebbero gravissime. La sua bonifica non può e non deve aspettare oltre» ha dichiarato a Valori, il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. «Come ho anche avuto modo di dire all’amministrazione comunale, non possiamo dare i soldi della bonifica a chi ha inquinato e si è comportato impunemente». In attesa della prossima Conferenza dei Servizi, che si terrà, proprio in seno allo stesso ministero il prossimo 28 febbraio.
Anche con il commissario straordinario, la Caffaro emette veleni
I sequestri e gli avvisi di garanzia sono atti dovuti, scrive la Procura, «per permettere nuovi accertamenti irripetibili». Quello che è certo è che la bonifica del SIN Caffaro, nonostante la designazione del commissario straordinario in carico dal 2015, voluta anche dal comune di Brescia, è ancora, tutta, sulla carta. Solo l’1% della superficie di oltre 2mila ettari ha un progetto di bonifica approvato, da realizzare. I veleni della Caffaro – PCB, solventi e diossine – rilasciati nei canali di irrigazione, hanno contaminato ampie fette del territorio bresciano e della sua provincia. Anche a decine di chilometri di distanza dalla fonte inquinante, come attestano le mappe di Arpa.
Eppure l’area, per la gravità della contaminazione, dovrebbe essere soggetta a messa in sicurezza d’emergenza, al ripristino, con bonifica e monitoraggio ambientale, proprio a carico dello Stato. Ma, qui, come altrove, l’azienda che ha inquinato, il gruppo Caffaro, responsabile anche dell’inquinamento nella Valle del Sacco in Lazio e a Torviscosa in Friuli, è fallito. Il sito industriale è, formalmente, ancora di proprietà del gruppo Snia Sorin, ora Livanova. La multinazionale è stata condannata in secondo grado a risarcire lo Stato Italia per le spese di bonifica, per tutti e tre i siti. Notizia resa pubblica solo qualche mese fa dal Corriere di Brescia.
I cittadini: «Basta Veleni»
Nell’attesa che chi ha inquinato paghi, la magistratura arriva, ancora una volta, a confermare le denunce fatte, da almeno dieci anni, dai cittadini e comitati ambientalisti bresciani. Una mobilitazione crescente sia in città che in provincia, ora riunita sotto la sigla «Basta Veleni». Proprio in migliaia, almeno 15mila, al grido «io non faccio finta di niente», hanno sfilato per il centro di Brescia, lo scorso 27 ottobre, per la seconda volta in tre anni. Obiettivo sollecitare le istituzioni locali e nazionali, alle bonifiche, con provvedimenti urgenti a tutela della salute e una moratoria sulle discariche di rifiuti speciali e pericolosi.
«Non c’è più tempo» ha dichiarato Stefania Baiguera, mamma e attivista che a lungo si è battuta per una delle poche bonifiche compiute, quella della scuola elementare Grazia Deledda, nel quartiere di Chiesanuova. «Per oltre dieci anni i nostri figli hanno giocato sul cemento, perché l’erba era contaminata da PCB» racconta a Valori. Ma precisa subito. «La bonifica del parco scolastico è stato un successo fortemente sollecitato dai genitori e dai cittadini. Ma è solo un piccolo tassello, per avere una città e una provincia pulita».
Urgono nuove analisi di rischio per le diossine
Un territorio, quello bresciano, soggetto a fortissime pressioni ambientali, dovute all’industria metallurgica, alla centrale a carbone, al più grande inceneritore d’Italia. E a una serie infinita di discariche autorizzate e non, che stipano almeno 59 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e tossici.
Lo storico ed esperto dell’ambiente Marino Ruzzenenti, colui che, per primo, denunciò il disastro prodotto dalla Caffaro nel suo secolo di esistenza, ha scritto a tutti gli enti e le istituzioni locali e nazionali. Il decreto ministeriale 46/2019 ha, infatto, abbassato drasticamente i valori soglia di contaminazione da diossine per i terreni agricoli. Imponendo così una nuova analisi e valutazione del rischio, anche nell’area esterna al sito industriale Caffaro. «Nessuno si ricorda più del popolo inquinato, costretto a vivere vicino alle zone contaminate».
Una situazione insostenibile che alimenta, da anni, le preoccupazioni della popolazione bresciana, in cima alle classifiche per patologie tumorali. In parte confermate dall’Istituto Superiore di Sanità, nel rapporto Sentieri. Secondo gli epidemiologi, tra il 2006 e 2013 si registra un aumento della mortalità nel primo anno di vita dei bambini. E le ultime indagini epidemiologiche dell’AST di Brescia, nel 2018, hanno confermato, ad esempio, l’influenza del PCB sull’aumento delle malattie cardiovascolari.
Piano bonifiche parchi troppo a rilento
Il comune di Brescia, su sollecitazione dei cittadini, con l’amministrazione di Emilio Del Bono (PD) ha messo in atto, dal 2013, un piano di bonifiche per le aree pubbliche, parchi e scuole. Il piano però, secondo la cittadinanza, va troppo a rilento. Per questo, ribadisce Costa «è fondamentale l’acquisizione dell’area Caffaro. Oggi più che mai. Dico al Comune: facciamo presto. I fondi sono pronti, usiamoli e portiamo Brescia fuori da questo dramma. La situazione è così grave che l’area del SIN andrà ampliata», ammette il ministro.
«Sono consapevole, poi, che il SIN avrà bisogno di una riperimetrazione. Purtroppo l’inquinamento del suolo, sottosuolo e falda non rispetta i confini amministrativi». Intanto dopo la visita della delegazione dei politici bresciani, nello scorso novembre, il ministro ha concordato la partenza dei lavori in primavera e assicura 100 milioni per la bonifica. Con la garanzia che il sito possa entrare in possesso del sito industriale tramite esproprio.
Brescia contaminata, la punta dell’iceberg
La situazione bresciana si rivela la punta dell’iceberg del problema bonifiche e siti contaminati, oggetto di diverse commissioni d’inchiesta parlamentari, a partire dalla XVII legislatura, ciclicamente soggetta all’oblio. Burocrazia, opacità nella gestione dei fondi, infiltrazioni eco-mafiose da nord a sud e viceversa, hanno fatto sì che il territorio nazionale sia ancora fortemente segnato dalle ex-aree industriali e siti dismessi. Segno di un passato industriale e produttivo che ha danneggiato vaste aree del Paese, per una superficie che supera i 120mila ettari.
In casi come Brescia, Brindisi e Taranto, poi le fonti emissive inquinanti sono ancora attive. Migliaia di cittadini lo scorso 22 dicembre sono scesi in piazza, con le loro magliette bianche, per sollecitare la partenza delle bonifiche su tutto il territorio nazionale. Anche davanti a Papa Francesco.