L’industria italiana del riciclo nel giro di vent’anni ha fatto passi da gigante. Oggi il Belpaese – nel mare magnum delle statistiche negative che ci relegano costantemente agli ultimi posti nelle classifiche di comparazione con i nostri partner europei – brilla per un dato green davvero rilevante, come ci ha ricordato Eurostat (l’ufficio statistico dell’Ue) lo scorso settembre: nel vecchio continente siamo i primi della classe per il tasso di riciclo dei rifiuti. Ne recuperiamo il 76,9%, rispetto a una media europea del 37%, complici anche l’alto tasso di utilizzo dei termovalorizzatori in Nordeuropa e delle discariche, invece, nei Paesi dell’Est.
Ma per arrivare a questa quota sostanziosa il percorso è stato lungo, pieno di sforzi e difficili cambiamenti. Se si mettono a confronto le cifre del 1999 con quelle del 2015, ci si accorge infatti che la quantità di rifiuti destinata al recupero è più che raddoppiata in quel periodo: siamo passati da circa 29 milioni di tonnellate a ben 64. In quello stesso passaggio temporale la quota avviata a smaltimento si è drasticamente ridotta, invece, passando da 35 a 18 milioni di tonnellate. Nel 2015 il settore del riciclo ha prodotto un valore aggiunto pari all’1% del Pil (12,6 miliardi di euro). Il risultato, in termini economici, è che l’Italia pesa per il 15% sul fatturato complessivamente generato dal settore della gestione dei rifiuti in Europa: in casa nostra il valore è di oltre 23 miliardi di euro.
Il bilancio di questa evoluzione emerge da un focus realizzato da Ecocerved (società consortile del sistema italiano delle camere di commercio che opera nel campo dei sistemi informativi per l’ambiente) per l’edizione 2017 de «L’Italia del riciclo», il rapporto promosso e realizzato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile insieme a Fise Unire (l’associazione che rappresenta le aziende italiane del recupero rifiuti). Il focus guarda a come è cambiato il settore dei rifiuti in Italia, rispetto al resto d’Europa, a vent’anni dall’emanazione del decreto Ronchi (d. lgs. 22/1997, prima disciplina organica in materia) e alle porte di nuovi cambiamenti determinati dal Pacchetto europeo sull’economia circolare, prossimo all’approvazione definitiva.
Tra le varie misure volute da Bruxelles, verranno introdotti target di riciclaggio al 2030 del 70% per i rifiuti urbani e dell’80% per gli imballaggi. Oggi il nostro Paese è già molto vicino al raggiungimento di questi obiettivi: secondo «L’Italia del riciclo», nelle diverse filiere nazionali, l’anno scorso sono stati recuperati 8,4 milioni di tonnellate di imballaggi (il 3% in più rispetto al 2015), pari al 67% dell’immesso al consumo. Mentre per i rifiuti urbani e da raccolta differenziata siamo al 50% di avviati a recupero nel 2015 (nel ‘99 erano solo il 17%). Lo scorso anno la frazione organica, che da sempre rappresenta la porzione principale dei rifiuti urbani (era il 41,2% di quelli riciclati), ha raggiunto i 107,6 kg per abitante avviati a recupero. Secondo l’Ispra nel 2016 gli impianti di compostaggio hanno prodotto circa 1,6 milioni di tonnellate di compost.
Nel complesso, la crescita più significativa si è registrata nelle filiere dell’alluminio (+5% nel 2016 rispetto al 2015), dell’acciaio (+4%) e del legno (+4%), mentre si sono confermate le eccellenze nel tasso di riciclo della carta (80%), del vetro (71%) e degli oli minerali usati, con oltre il 99% avviati a rigenerazione. Cresce anche la raccolta degli oli vegetali esausti che tocca le 65 mila tonnellate (+5%).
Con riferimento agli pneumatici fuori uso, l’anno scorso ne sono stati avviati a recupero per 135mila tonnellate (a queste si aggiungono173mila tonnellate avviate a recupero energetico). Anche un settore più «delicato» come quello dei rifiuti tessili, per il quale si sono registrate modalità di raccolta non sempre chiare, vede crescere il riutilizzo (133mila tonnellate, +3,3%), con quasi il 73% dei Comuni che ha effettuato il servizio di differenziata. Ma la maggior parte degli abiti usati raccolti in Italia rimane viene esportata, quasi del tutto in Nord Africa e nell’Africa Subsahariana, con la Tunisia primo porto di destinazione.
Secondo gli ultimi dati Eurostat relativi al 2014, la raccolta pro-capite di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) da superficie domestica ha raggiunto i 3,5 kg per abitante l’anno (l’85% dei quali destinato a recupero energetico o di materia), mentre è stato raccolto il 39% dell’immesso al consumo di pile e accumulatori portatili. Sempre per il 2014 Ecocerved ha registrato una produzione di rifiuti inerti da costruzione e demolizione pari a 54 milioni di tonnellate, di cui il 90% avviati a recupero di materia. Resta invece ancora lontana dal target europeo di recupero totale (del 95% al 2015), la filiera relativa ai veicoli fuori uso, oggi all’84,7%.
Alla luce di questi dati, Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente a cui si deve proprio il decreto del ’97 e oggi presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, ha dichiarato che per raggiungere gli obiettivi previsti dal pacchetto europeo per la circular economy l’industria italiana del riciclo, che ha «consistenti» prospettive di crescita, deve ancora migliorare le «politiche di sistema con diffusione di migliori tecniche di filiera» e «trovare maggiori sbocchi di mercato per i prodotti del riciclo». In questo senso il presidente di Fise Unire, Andrea Fluttero, ha sottolineato la necessità dei «decreti End of Waste» e quella di «affrontare sia il problema dell’oscillazione dei prezzi delle materie prime, sia quello dei costi di smaltimento delle frazioni di scarto».
Se il processo storico è una guida per il futuro, miglioramenti sul fronte economico sembrano non improbabili. L’analisi svolta da Ecocerved mostra nel 2015 la presenza di circa 10.500 imprese attive (a titolo di attività principale o secondaria) nella gestione dei rifiuti: un dato minore rispetto a quello del 1999, a causa di processi di concentrazione e integrazione aziendale, con un grosso aumento delle società di capitale e una riduzione costante delle imprese individuali, che si sono praticamente dimezzate. Le quantità di rifiuti gestite più rilevanti nel 2015 riguardano i metalli (quasi 16 milioni di tonnellate), l’organico (11,3) e la carta (6,4). Le unità locali dove si riciclano rifiuti (ovvero le singole sedi dove si espleta operativamente l’attività d’impresa) erano circa 7.200 due anni fa e la loro distribuzione mostrava una certa diversità tra le diverse aree del Paese: il 55% al Nord, il 20% al Centro e il 25% al Sud e nelle Isole.
Il gestore che opera nel settore del riciclo conta un fatturato medio di 16 milioni di euro nel 2015, una cifra più che raddoppiata in termini reali rispetto al 2003. A livello di Unione europea, il settore genera un fatturato complessivo di 155 miliardi di euro e produce quasi 50 miliardi di euro di valore aggiunto: entrambe le voci mostrano una crescita nominale di circa il 10% rispetto al 2011.