Finora era considerata il nemico numero uno di mari e oceani. Ma la plastica sta diventando una piaga anche per i grandi laghi e i fiumi. A svelare la (crescente) presenza di microparticelle di materiali ottenuti dalla lavorazione del petrolio nei bacini lacustri italiani sono i dati di Goletta dei Laghi 2017, la campagna di Legambiente realizzata in collaborazione con Enea che monitora lo stato di salute delle acque dolci della Penisola.
Il problema si annida nelle molecole: la plastica non si degrada mai completamente nell’ambiente. Piuttosto si decompone in frammenti sempre più piccoli, ma molto pericolosi perché vengono ingeriti dai pesci entrando così nella catena alimentare. È una forma d’inquinamento subdola: non si vede a occhio nudo, ma l’analisi al microscopio fornisce risultati preoccupanti. Anche se non siamo ai livelli del «plastic vortex», la gigantesca isola di rifiuti galleggianti formatasi nell’Oceano Pacifico, la presenza di plastica sotto forma di microparticelle rappresenta un minaccia concreta per i nostri laghi.
La classifica
Dalla ricerca di Legambiente – l’unica a livello nazionale di questo tipo – emerge che in tutti i bacini monitorati sono state rinvenute microplastiche, ossia particelle di dimensione inferiore ai 5 millimetri. La maglia nera va al lago di Como, che fa registrare una densità media di 157 mila frammenti per chilometro quadrato. La zona più inquinata è quella settentrionale, con un picco di oltre 500 mila particelle nel tratto in corrispondenza del restringimento tra Dervio (Lecco) e Santa Maria Rezzonico (Como). Al secondo posto della poco lusinghiera classifica c’è il Maggiore, che presenta una densità media di 123 mila particelle di plastica per chilometro quadrato, con un picco di oltre 560 mila in corrispondenza della foce del fiume Tresa, tra Luino e Germignaga (Varese). Sul podio finisce anche il lago di Bracciano, fortemente colpito la scorsa estate dalla siccità e dell’eccessiva captazione. Questi fenomeni hanno contribuito a creare condizioni ambientali critiche: nei dieci transetti campionati la media è di 117 mila particelle di plastica per chilometro quadrato. Non se la passa bene anche il lago Iseo con una media di 63 mila frammenti. Sono stati registrati invece valori più bassi per il lago di Garda (quasi 10 mila particelle per chilometro quadrato) e per il Trasimeno (7.914).
Ma chi è il colpevole di questo inquinamento? La risposta è scontata: l’uomo. Le microparticelle di plastica che finiscono nei fiumi e nei laghi sono frammenti di buste di plastica, cordame e fibre tessili sintetiche. L’aspetto più preoccupante è che, spesso, inquiniamo senza accorgercene. Qualche esempio: i vestiti sintetici in pile, acrilico e poliestere rilasciano a ogni lavaggio migliaia di fibre microscopiche; ogni cento chilometri percorsi automobili e camion disperdono nell’ambiente circa 20 grammi di polveri di pneumatico; le vernici contribuiscono nella misura del 10 per cento all’inquinamento degli oceani. «Le microplastiche sono ormai sempre più presenti negli ecosistemi marini e terrestri», mette in guardia Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente. «Si tratta di un inquinamento difficile da quantificare e impossibile da rimuovere totalmente».
Impianti inefficaci
Spesso il problema sta a monte. A trasportare le microplastiche nei laghi italiani sono i fiumi. Per questo Legambiente ed Enea hanno allargato il fronte della ricerca campionando i corsi d’acqua prima e dopo i depuratori. I risultati sono sorprendenti perché mettono in dubbio (eufemismo) l’efficacia degli impianti. Nell’Oglio, affluente del lago d’Iseo, è stato rilevato un incremento di particelle a valle del depuratore pari all’81%. Per l’Adda, fiume che alimenta il lago di Como, l’acqua che esce dall’impianto contiene il 62% di microplastiche in più di quella in entrata. «Gli impianti di depurazione non filtrano le microplastiche e questo è un elemento su cui bisognerà riflettere», spiega Zampetti.
Infine, le spiagge. Anche sotto questo aspetto i sei laghi monitorati rimediano una sonora bocciatura: nel 90% dei siti è stata registrata la presenza di rifiuti di plastica. Il campionario è sempre lo stesso: cotton fioc, bottigliette, copertoni. L’ennesima conferma che dietro lo sfregio quotidiano all’ambiente ci sono sempre le cattive abitudini umane.