Se l’umanità non interverrà in fretta sulla crisi ambientale, il degrado a cui già stiamo assistendo diventerà irrecuperabile. E avrà un costo stratosferico, anche in termini puramente economici. Per la prima volta questo impatto è stato tradotto in denaro, arrivando a una cifra che lascia sbalorditi: circa 9mila miliardi di euro entro il 2050. Sarebbe come mandare in fumo le economie di Regno Unito, Francia, India e Brasile, messe insieme. Ad affermarlo è il Wwf, che ha dedicato a questo tema il progetto Global Futures, condotto in partnership con il Global Trade Analysis Project e il Natural Capital Project.
Come funziona lo studio Global Futures del Wwf
Cambiamenti climatici, eventi meteorologici estremi, inondazioni, siccità, erosione del suolo, estinzione di specie animali e vegetali: tutti questi fenomeni compromettono fortemente i cosiddetti servizi ecosistemici di cui tutti noi usufruiamo giorno dopo giorno, in modo più o meno consapevole. Pensiamo per esempio all’acqua usata per bere e irrigare i campi, al legname, alla pesca, alla capacità degli alberi di stoccare CO2, alla protezione delle coste da inondazioni ed erosione. O alla preziosa opera di impollinazione svolta dalle api su mele, mandorle, cacao, pomodori e tantissime altre colture che costituiscono la base della nostra alimentazione.
A partire da questo presupposto, dunque, Global Futures fa una stima dei cambiamenti che subiranno questi servizi, modellandoli su diversi scenari possibili. Quindi valuta le conseguenze sul pil, sui commerci, sui prezzi delle commodities (cioè i beni di base come il legno, il cotone, i semi) e altri indicatori di carattere economico. Tutto questo coprendo un perimetro di 140 paesi.
Ci stiamo dirigendo verso una catastrofe economica
Lo scenario del business as usual – cioè quello in cui aziende, istituzioni e cittadini vanno avanti su questa strada senza grosse variazioni – corrisponde a una catastrofe per lo sviluppo globale. Da solo, il declino dei sei servizi ecosistemici già menzionati farà calare il pil dello 0,67 per cento all’anno da qui al 2050 (si tratta di un dato medio, che prende come metro di paragone uno scenario di base in cui l’offerta di tali servizi ecosistemici rimane inalterata). Ciò equivale a un “buco” di oltre 442 miliardi di euro annui. Facendo la somma, dal 2011 al 2050, si arriva al totale di 9.110 miliardi di euro. Con un’agricoltura messa in ginocchio, bisognerà attendersi anche un boom dei prezzi di beni essenziali come il legname (+8 per cento), il cotone (+6 per cento), i semi oleosi (+ 4 per cento) e i vegetali (+ 3 per cento). A spese delle fasce più povere della popolazione globale, che faranno sempre più fatica a sfamarsi. E stiamo pur sempre parlando di stime al ribasso, poiché conteggiano soltanto un numero limitato di fattori.
Cambiamo completamente scenario e ipotizziamo che la comunità internazionale finalmente scommetta sullo sviluppo sostenibile, tutelando i territori più preziosi per la biodiversità. In questo caso (che il Wwf chiama global conservation) il pil crescerà ogni anno dello 0,02 per cento, cioè di 11 miliardi di dollari, fino al 2050. Rispetto al business as usual, l’economia globale guadagnerà oltre 450 miliardi di euro ogni anno.
Usa, Giappone e Regno Unito pagheranno il prezzo più alto
A primo acchito, viene automatico immaginare che soprattutto i territori più poveri siano destinati a subire i danni dovuti al tracollo dei servizi ecosistemici. Invece, anche su questo frangente lo studio del Wwf ci riserva delle sorprese. Se si verificasse lo scenario del business as usual, l’economia degli Stati Uniti brucerebbe oltre 76 miliardi di euro ogni anno. Si tratta della perdita più consistente in termini assoluti, che grossomodo equivale al del pil del Guatemala. “Non possiamo immaginare un paese giusto e stabile e un’economia prospera, se le foreste scompaiono, gli impollinatori svaniscono, la biodiversità collassa e i fiumi e l’oceano si esauriscono”, commenta Rebecca Shaw, a capo del team scientifico del Wwf. Stesso discorso per il Giappone (quasi 74 miliardi di dollari persi ogni anno) e il Regno Unito (poco meno di venti miliardi). Passando ai paesi in via di sviluppo, si scopre che le economie in più in bilico sono quelle del Madagascar, del Togo e del Vietnam.
“Per molte persone è difficile rendersi conto del vero valore della natura e dei numerosi benefici che offre all’umanità”, conclude Shaw. “Questo report traduce la perdita di capitale naturale in termini economici, ricollegandoli ai singoli Stati. È un modo tangibile ed efficace per catalizzare l’azione da parte di aziende e governi”.