Dalle acciaierie e fonderie all’edilizia, le proprietà di un minerale diventato prezioso grazie al genio di un ingegnere italiano
Ci sono imprese che nascono dall’intuizione di grandi pionieri, uomini geniali in grado di creare nuove opportunità là dove il resto del mondo vede soltanto dei limiti. È la storia di due aziende, la Nuova Cives srl di Vidracco (TO) e la RHT srl di Savona, unite da una leadership famigliare giunta alla seconda generazione, grazie al genio di Giacomo Ferrero che negli anni ’50 del Novecento scoprì le sorprendenti proprietà dell’olivina, un minerale tanto diffuso quanto raro.
Oggi la Cives è l’unico produttore italiano di olivina e la RHT si è affermata come azienda leader nei settori delle tecnologie e degli impianti di frantumazione per cave e miniere, insieme agli impianti di riciclaggio dei rifiuti edili e del vetro.
Oggi la Cives è l’unico produttore italiano di olivina e la RHT si è affermata come azienda leader nei settori delle tecnologie e degli impianti di frantumazione per cave e miniere, insieme agli impianti di riciclaggio di svariate tipologie di rifiuti e del rottame di vetro. Ma andiamo con ordine, perché la storia comincia da lontano e ce la racconta l’ingegner Franco Ferrero, figlio di Giacomo e, con i fratelli Angelo e Matteo, socio fondatore di RHT.
Cos’è l’olivina e perché è tanto importante?
L’olivina è un silicato di magnesio e ferro, una soluzione solida di fayalite e forsterite, il cui nome deriva dal colore verde oliva tipico dei suoi cristalli. È il minerale più diffuso sulla terra, e al tempo stesso è reperibile in pochi posti, perché è il principale costituente del mantello terrestre, che si trova a grandi profondità, tra il nucleo e la crosta terrestre esterna.
È emersa a seguito dei movimenti tettonici (legati allo scontro tra placche continentali nel periodo Giurassico che hanno spaccato la crosta terrestre. Può succedere anche durante le eruzioni vulcaniche: la lava in risalita strappa pezzi di mantello e li porta in superficie, cosicché all’interno dei lapilli si possono trovare cristalli di olivina. È presente in Norvegia, che vanta le olivine migliori al mondo per qualità, oggi controllate dal gruppo Sibelco. Poi si trova in Albania, in Turchia e naturalmente in Cina. In piccoli depositi è presente anche in Giappone, Canada e India. In Italia esistono soltanto tre giacimenti, tutti sulla linea che si chiama faglia insubrica, ma nelle nostre miniere ci sono più che altro micro-cristalli ed è impossibile trovare le gemme di olivina usate in gioielleria.
La sua importanza per le applicazioni industriali è legata ad una serie di proprietà chimico-fisiche uniche: l’estrema refrattarietà, la caratteristica ultrabasica, l’opacità ai raggi ultravioletti, l’inerzia chimica, la elevatissima resistenza meccanica e la durezza. Ma la storia del suo uso industriale risale a poco più di 60 anni fa. Prima l’olivina era conosciuta come minerale, ma nessuno aveva idea che potesse avere degli importanti utilizzi in campo industriale.
Nel contesto storico attuale, con i problemi legati all’evoluzione del clima, l’olivina si è rivelata inoltre un materiale “green” potenzialmente strategico nella cattura e rimozione della CO2 dall’atmosfera, suscitando a livello globale l’interesse di università e ricercatori per lo studio di sistemi che consentano di accelerare ciò che in natura già avviene. L’olivina infatti fissa la CO2 formando dei carbonati: è un procedimento lento, l’efficienza è bassa, ma è un processo inesorabile. Una tonnellata di olivina può assorbire fino ad una tonnellata di CO2 per questo saranno necessarie enormi quantità di materiale e grandi spazi. In Olanda, per esempio, stiamo fornendo alcune società che mettono l’olivina sui tetti dei palazzi.
Ci sono studi avanzati per utilizzare olivina micronizzata all’interno di reattori, in cui farla reagire con la CO2, in condizioni particolari di pressione e temperatura, per velocizzare il processo di cattura. Altri progetti, già attivi, utilizzano una sabbia di olivina distribuita sulle spiagge, sempre per la cattura di CO2. Il progetto americano Vesta, voluto da Bill Gates, ad esempio prevede di spargere olivina nel punto in cui si infrange l’onda del mare, dove avviene naturalmente uno scambio tra acqua e aria, e la cattura della CO2 è più efficiente.
Il grande problema sono i costi: sono necessarie quantità enormi di minerale e per avere risultati più interessanti è necessario aumentare al massimo la superficie di scambio e cioè macinare finemente l’olivina. L’olivina è un materiale durissimo e abrasivo: la macinazione spinta costa molto, soprattutto in termini di energia.
Ciononostante il bilancio è comunque a favore dell’olivina e questo rappresenta per noi produttori un potenziale campo di impiego enorme. Ci sono studi anche per l’utilizzo dell’olivina all’interno dei cementi, che li renderebbe anche per certi versi ecologici. È un settore ancora in fase embrionale che nei prossimi anni vedrà un forte sviluppo.
In che modo questo minerale si intreccia con la storia di famiglia?
Nel 1948, mio padre Giacomo Ferrero, appena laureato in ingegneria al Politecnico di Torino, vinse una borsa di studio all’Istituto Scientifico Breda di Milano dove ebbe modo di crearsi una solida formazione in metallurgia e nelle sue le applicazioni in fonderia. Fu quindi assunto alla fonderia di Franco Tosi di Legnano, ed entrò come tecnico nella fonderia acciaio dove venivano realizzati grossi pezzi in fusione, principalmente per turbine idrauliche Pelton, Francis, Kaplan e per turbine a vapore.
Questi getti venivano eseguiti in acciaio al manganese, un acciaio antiusura utilizzato per fare tutte le corazze e i martelli delle macchine di frantumazione e – proprio per la sua la caratteristica di antiusura – anche per le turbine. Gli stampi di questi pezzi, che potevano pesare anche 60-80 tonnellate, venivano realizzati in sabbia silicea, la sabbia universalmente usata in fonderia tutt’oggi.
Questa tecnologia, applicata all’acciaio al manganese, genera nei pezzi una difettosità superficiale enorme. L’acciaio al manganese, infatti, durante la solidificazione forma in superficie una sorta di pelle con caratteristiche basiche, mentre la sabbia silicea ha caratteristiche acide: l’inevitabile reazione tra sabbia e pelle dell’acciaio in solidificazione, crea dei difetti sulla superficie del pezzo, come degli spuntoni, chiamati code di topo. Per questo motivo il getto, una volta tirato fuori dalle forme richiedeva giorni e giorni di molatura manuale, per ripristinare la sagoma desiderata.
Giacomo Ferrero aveva 26 anni, era fresco di studi e aveva una mente brillante, per cui ha cominciato a pensare a possibili alternative, non tanto sulla scelta dell’acciaio, quanto sulle sabbie per realizzare gli stampi: “Se io trovassi una sabbia refrattaria come la silicea, ma con caratteristiche basiche, eviterei questa reazione e probabilmente la difettosità dei pezzi”.
Come arrivò all’olivina?
Iniziò a studiare le mappe geologiche per trovare un minerale con certe caratteristiche e individuò un sito potenzialmente utile nelle valli di Lanzo, esattamente nel comune di Locana, in corrispondenza di una frana, dove alcuni massi potevano corrispondere a quello che cercava. Prima di trovarla a Locana non sapeva nemmeno cosa fosse l’olivina, a quel tempo lo sapevano i geologi ed era considerata una pietra come un’altra. Fece campionature e analisi, finché si convinse che poteva essere una strada da tentare. Andò dal direttore generale della Franco Tosi a spiegare le sue idee e suscitò immediatamente un grande interesse: “Facciamo una prova: tra tre mesi abbiamo da fondere una Pelton, un pezzo di 4 metri di diametro che pesa 40 tonnellate”.
Giacomo esitò: “Non è rischioso su un pezzo così grande?”. La risposta fu secca: “Facciamo una prova che abbia senso”. Così recuperò il materiale dalla frana, lo portò a Savona da un suo amico cavatore e in qualche modo riuscirono a creare una campionatura di sabbia, una sabbiaccia come diceva mio padre, una roba tremenda, però in qualche modo, un po’ con le macchine e un po’a mano, prepararono questo campione. Mio padre era preso in giro da tutti i vecchi fonditori della Tosi.
Tre mesi dopo venne fatta la colata, dopo cinque giorni il pezzo era freddo: si doveva aprire la forma ed estrarlo. Quel giorno erano tutti presenti, il presidente, l’amministratore delegato, il direttore, tutti i responsabili dei vari settori della Franco Tosi, e mio padre, che dirigeva le operazioni, era teso e preoccupato del risultato, ma quando il pezzo fu sollevato dal carroponte e risultò essere perfetto, ci fu un lungo applauso.
Giacomo Ferrero fu nominato dirigente in quella stessa occasione, il più giovane dirigente d’Italia. Dopo due mesi era il direttore della fonderia e parallelamente aveva fondato una società che si chiamava IMS, Industria Materiali Speciali, e aveva cominciato ad aprire la cava sulla frana di Locana. Questo è l’inizio della storia industriale dell’olivina, a livello mondiale direi, perché più o meno nello stesso periodo alcuni tecnici svedesi stavano facendo esperimenti simili con le olivine norvegesi, ma chiaramente non si conoscevano con mio padre. Lui è stato il pioniere, come in altri settori.
Quali sono stati gli sviluppi successivi per l’azienda di famiglia e la lavorazione dell’olivina?
Mio padre è rimasto in Franco Tosi altri 4-5 anni, poi suo padre, che aveva un’officina meccanica a Savona, lo richiamò a casa perché si occupasse dell’azienda di famiglia. Ma l’innesco che c’era stato tra la fonderia e la miniera di olivina condizionò negli anni anche l’evoluzione tecnica delle officine che si occupavano di strumenti di misura, flessimetri ed estensimetri, regoli per il calcolo del cemento armato e vibratori di tutti i tipi per l’industria del calcestruzzo.
Quando mio padre rientrò in officina, per prima cosa mise su una fonderia di bronzo e ottone, non di acciaio, e poi cominciò a studiare le macchine per gli impianti di lavorazione dell’olivina. Da questi primi studi prese origine quella che oggi è la RHT, che si occupa di progettazione ingegneristica applicata principalmente al settore minerario (oltre che al riciclaggio rifiuti).
Intanto la Nuova Cives (che aveva preso il posto nel nuovo sito di Vidracco della originaria IMS) è cresciuta parallelamente agli sviluppi del mercato. L’idea di utilizzo dell’olivina è partita dalla fonderia, ma si è poi sviluppata principalmente nel settore siderurgico, dove si producono gli acciai: sia nell’industria siderurgica primaria, che nelle acciaierie elettriche, dove viene usato per la chiusura dei fori di colata dei forni con tecnologia EBT.
In Italia, come acciaieria primaria, è rimasta soltanto Taranto, che per questioni logistiche si è sempre rifornita via mare dalle miniere norvegesi, che si trovano sulla bocca dei fiordi e riescono a caricare direttamente le navi e ad avere costi di trasporto incredibilmente più bassi dei nostri. Noi per arrivare a Taranto dobbiamo portare il minerale a Genova con i camion, scaricarlo in banchina e ricaricarlo su nave ed i costi sono troppo alti. Per contro, abbiamo fornito per anni le acciaierie di Genova quando c’erano gli altiforni, l’acciaieria di Trieste che poi è stata chiusa, e ogni tanto ancora oggi le acciaierie francesi vicino a Marsiglia.
In quale mercato opera principalmente Cives?
Il mercato di Cives oggi è legato principalmente alle acciaierie che usano i forni elettrici per il riciclo dei rottami e sfruttano l’olivina per la chiusura dei fori di colata. Direi che tutte le acciaierie italiane sono nostre clienti, e non solo, visto che il nostro tasso di export è di oltre il 40%.
Inoltre l’olivina trova applicazioni in moltissimi altri campi, tutte applicazioni di nicchia, ma estremamente interessanti per noi. Per esempio, in edilizia, forniamo i produttori di guaine bituminose per l’impermeabilizzazione dei tetti. Qui l’olivina, utilizzata come sabbietta di copertura del bitume, offre un duplice vantaggio: consente di arrotolare i teli bitumati evitando che si incollino, ed essendo radio opaca non lascia passare i raggi ultravioletti, causa principale dell’invecchiamento del bitume, per cui il telo impermeabilizzante ha durate maggiori.
L’altro settore di applicazione per noi importante è quello della sabbiatura a getto libero: l’olivina ha caratteristiche di durezza vicine a quelle del quarzo, con il vantaggio di non contenere silice libera cristallina, e quindi non causa problemi di silicosi.
I micronizzati di polvere di olivina vengono venduti per la produzione di stucchi e vernici speciali. Abbiamo fornito produttori di vernici per utilizzo marino e sottomarino, con prestazioni eccezionali grazie alla resistenza dell’olivina agli attacchi chimici.
Infine l’olivina ha un’elevatissima capacità di accumulo del calore. Non a caso le tipiche pietre arroventate che si possono trovare nelle saune sono di olivina, soprattutto in Finlandia. Certo non è un grandissimo mercato, ma ne abbiamo vendute un po’anche per quella applicazione!
Possiamo contare su due siti minerari: uno è quello di Vidracco, il sito più antico e più importante, l’altro è quello di Finero, la cui proprietà è stata per anni del gruppo Maffei, finché abbiamo acquisito la concessione mineraria dal gruppo Minerali Industriali ed è entrato recentemente a far parte dei nostri asset. Il terzo giacimento italiano è quello di Balmuccia in Valsesia, dove stiamo da tempo lavorando per ottenere una nuova concessione mineraria che speriamo a breve sia rilasciata nonostante un iter estremamente complesso.
Come è avvenuto il passaggio dalla miniera alla progettazione di impianti con RHT?
Tutti gli impianti che abbiamo realizzato per la produzione di olivina sono stati concepiti, progettati e costruiti da noi. Le esperienze ed i risultati conseguiti hanno dato l’impulso allo sviluppo di un’attività, quella della progettazione industriale, che poi ha preso la sua strada rivolgendosi ad altri settori e applicazioni. Cives è rimasta il punto di riferimento storico del nostro gruppo e le esperienze maturate nell’arco di oltre 50 anni si riflettono in RHT. Per esempio siamo portati ad affrontare i problemi e a proporre soluzioni tecniche ai nostri clienti, tenendo al centro proprio le problematiche dell’utilizzatore: un’ossessione che è una forza rispetto a molti concorrenti.
La storia di costruttori della nostra famiglia risale al 1921, a Savona, dove mio nonno e suo fratello, avevano creato la Fratelli Ingegneri Ferrero, una società in cui facevano un po’ di tutto, principalmente meccanica per la produzione di strumenti di misura, poi vibratori per il calcestruzzo. Quando è arrivato mio padre ha portato la rivoluzione. Aveva una fantasia scatenata, dopo l’esperienza in Tosi, per prima cosa ha messo su una fonderia di bonzo e ottone: per esempio abbiamo fuso le eliche delle navi Raffaello e Michelangelo, i famosi transatlantici di tanti anni fa. Quando c’è stata la crisi del settore, ha fondato la Cives, che si chiamava in realtà la Nuova Cives, perché la torre medievale di Vidracco si chiama torre Cives, e il primo impianto di lavorazione dell’olivina aveva una forma a torre, da cui Nuova Cives.
L’officina meccanica di Savona imboccò la strada del settore impiantistico con le cave e le miniere e poi parallelamente aprì al mondo del riciclaggio. I primi impianti realizzati in Italia in questo settore videro tutti lo zampino di mio padre. Si parlava di impianti di compostaggio, di riciclaggio, dei primi impianti di produzione di RDF (refuse derived fuel) – adesso lo chiamano CSS (combustibile solido secondario), ma era RDF quando ancora mancava la normativa di utilizzo.
In che modo la profonda trasformazione industriale degli ultimi anni ha influito sull’attività di RHT?
La trasformazione portata dall’elettronica è stata impressionante. L’automazione da un lato e la sensoristica dall’altro hanno consentito di rivoluzionare la filosofia funzionale delle macchine e degli impianti semplificandone la gestione ed ottimizzandone le prestazioni. Nel campo del riciclaggio si sono cominciate ad applicare le cernitrici ottiche (quelle nate per separare i diamanti dai sassi), perché nonostante i costi molto elevati hanno reso possibile recuperare prodotti di valore da materiali che prima sostanzialmente finivano in discarica, e questa è stata la vera rivoluzione. Per questo ci siamo specializzati nell’integrazione di questi sistemi sofisticati nei nostri impianti e specialmente per la cernita dei metalli.
L’imprinting che le nostre attività hanno avuto dalle geniali esperienze di mio padre è ancora oggi alla base delle nostre realizzazioni. RHT è la società di ingegneria nata ormai 20 anni fa, con in dotazione il patrimonio tecnico delle vecchie officine del nonno; mantiene come settore principale di attività quello minerario, ma copre anche tutto il mondo del riciclaggio in senso lato.
Operiamo nella realizzazione di impianti: dal trattamento delle scorie degli inceneritori al recupero di inerti dal riciclaggio di materiali da demolizioni a quello dei rottami di vetro. In particolare ci stiamo concentrando sulla massimizzazione del recupero dei metalli presenti nelle scorie dei termovalorizzatori, che rappresenta il vero scopo del trattamento perché il valore aggiunto del mix di metalli recuperati giustifica da solo gli importanti investimenti necessari.
Abbiamo messo a punto dei procedimenti sia a secco che a umido per la separazione di questi metalli, e a valle di questi recuperi possono essere applicate selezionatrici ottiche di varia natura, con un’efficienza molto elevata, che consentono di dividere i metalli per tipologia aumentandone ulteriormente il valore. Questo è un settore con un grande margine di espansione: non ci sono tantissime società che ci lavorano e noi abbiamo competenze uniche che stiamo mettendo a frutto.
Gli impianti che trattano le scorie degli inceneritori, infatti, sono nati con lo scopo di recuperare la parte inerte, i metalli erano un contorno quasi senza valore. Questi impianti vivevano sulla tariffa che riuscivano a spuntare per portare via le scorie dal produttore e non immaginavano che potesse essere fonte di guadagno importante il recupero dei metalli spinto all’inverosimile. Ci sono state delle persone, dei veri pionieri, che hanno fatto ricerca ed esperienze: noi abbiamo avuto la fortuna di essere coinvolti da una di queste persone nello sviluppo delle idee e ora abbiamo un’esperienza riconosciuta da tutti.
La RHT è una società di ingegneria e di main contracting, che progetta macchine e impianti e li realizza. È un’azienda che sta crescendo, abbiamo acquistato recentemente un altro piano di uffici a Savona e stiamo implementando il parco “teste” con una squadra di ragazzi giovani, volenterosi e ambiziosi che sviluppano la loro formazione in ufficio tecnico e sul campo. Pian piano i giovani si appassionano a questo terreno complicato, e quando arriva la passione la sfida del futuro è vinta.