È dedicata alla relazione fra boschi e biodiversità la Giornata Internazionale delle Foreste 2020, che si tiene in tutto il mondo sabato 21 marzo. “Troppo preziose per perderle”, recita lo slogan scelto per questa edizione dalle Nazioni Unite, che hanno istituito questa Giornata Mondiale nel 2012. Ed è la stessa Fao, l’organizzazione dell’Onu per il cibo e l’agricoltura, a ricordarci che le foreste sono l’habitat dell’80% della biodiversità terrestre e ospitano più di 60 mila specie di piante. Più di un miliardo e mezzo di persone dipendono poi direttamente dalle foreste per cibo, riparo, produzione di energia da biomasse e reddito.
Gestire le foreste in modo sostenibile, e ripristinarle quando necessario, è quindi fondamentale per le persone, la biodiversità e il clima e una delle sfide globali più grandi è ridurre l’impronta ambientale di una serie di commodities. La grande produzione agricola monoculturale è, infatti, la principale causa diretta di deforestazione e degrado delle foreste nei Paesi tropicali: la promozione di filiere sostenibili e trasparenti – mission da sempre di FSC® – e il coinvolgimento di istituzioni, produttori, intermediari e cittadini, consente di contrastare la deforestazione e la conseguente perdita di biodiversità.
Il peso delle commodities
L’ultimo rapporto dell’IPCC, il Comitato scientifico sui cambiamenti climatici istituito dalle Nazioni Unite, spiega che la fornitura pro capite globale di oli e carne è più che raddoppiata dal 1961 ad oggi, con importanti impatti su foreste, emissioni e climate change. Un recente report di IDH – The Sustainable Trade Initiative (coalizione olandese che mette insieme governi, società civile e Ong per promuovere pratiche sostenibili) sottolinea l’urgenza di agire per ridurre l’impronta ambientale di 8 principali commodities (olio di palma, soia, manzo, cacao, caffè, gomma, polpa di legno e carta, legname tropicale) in 12 mercati europei e in 7 Paesi produttori.
Il rapporto di IDH evidenzia infatti come gli hotspot della deforestazione si stiano spostando: se nel 2002 il Brasile e l’Indonesia rappresentavano il 71% della perdita di foresta tropicale primaria, nel 2018 questo dato si è ridotto a meno della metà del totale, mentre Colombia, Costa d’Avorio, Ghana e Repubblica Democratica del Congo sono diventate ora i Paesi dove si registrano i maggiori record negativi; sei dei primi dieci Paesi tropicali che hanno registrato il maggiore tasso di perdita di foreste tra il 2017 e il 2018 sono africani.
Sempre più questa situazione è direttamente collegata alla produzione di materie prime: a tagli illegali, piantagioni create a scapito di foreste naturali e pratiche slash and burn (una tipologia di attività agricola che prevede il taglio e la combustione di piante in una foresta o bosco per creare terreni coltivabili), si è sommato negli ultimi anni l’aumento di richiesta di prodotti come cacao e palma da olio, facendo crescere la pressione esercitata sulle foreste.
Il ruolo dell’Europa e dell’Italia
Una quota significativa della domanda globale di materie prime agroforestali viene dai Paesi europei, particolarmente attraverso le grandi industrie di trasformazione. I dati dimostrano che, in media, le emissioni da deforestazione prodotte da queste importazioni rappresentano il 50% delle emissioni agricole nazionali nei 12 Paesi europei presi in esame (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Svizzera e UK). L’approvvigionamento di commodities da filiere sostenibili potrebbe però far risparmiare quasi mezzo miliardo di tonnellate di CO2 nel prossimo decennio. In questo senso, un segnale positivo arriva dal settore forestale e dalla produzione di legname tropicale sostenibile, che interessa oggi 30 milioni di ettari: attualmente il 25-32% dei principali prodotti legnosi tropicali importati nell’UE è accompagnato da certificazione di filiera sostenibile.
“Foreste e biodiversità – spiega Diego Florian, direttore di FSC Italia – sono davvero preziosi per il nostro futuro: ecco perché dobbiamo impegnarci a livello locale, nazionale e internazionale per proteggere e valorizzare questo immenso patrimonio. Come? Gestendo le foreste in modo sostenibile; ripristinando aree degradate o soggette a deforestazione, salvaguardando i servizi essenziali che riceviamo da alberi e boschi”. Per quanto riguarda l’Italia, le tre maggiori materie di importazione sono palma da olio (1,3 milioni di tonnellate/anno), polpa di cellulosa (3,3 milioni) e soia (3,5 milioni). Il legno tropicale, nel quinquennio 2011-2016, si attesta sulle 224 mila tonnellate/anno ( -5.8%).
“L’industria è chiamata a garantire filiere trasparenti e sicure – prosegue Florian – i proprietari e gestori forestali, dal canto loro, devono essere incentivati nell’applicazione di modelli volti alla valorizzazione dei servizi naturali, e premiati per il loro contributo positivo al benessere e alla resilienza dei territori. Le istituzioni pubbliche dovranno infine implementare politiche coraggiose e strategie condivise, in grado di far fronte alle sfide poste dai cambiamenti climatici. Le azioni di oggi serviranno a dare un futuro migliore alle generazioni che verranno”.