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Firmato il decreto end of waste per gli inerti da costruzione e demolizione

inerti
Foto di Michael Gaida da Pixabay

Arriva dopo anni di attesa e mesi di allarme da parte delle associazioni di settore la firma a uno dei decreti End Of Waste più attesi in Italia: quello che regolamenta il fine vita dei rifiuti inerti derivati dalle attività di demolizione e costruzione.

Il Ministro delle Transizione Ecologica ha firmato lo scorso 15 luglio il Decreto ministeriale che ridefinisce i criteri per il recupero degli inerti affinché smettano di essere considerati rifiuti per diventare “aggregato recuperato”.

Il provvedimento, che si avvia verso la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, va a toccare uno dei flussi di rifiuti più “ingombranti” a livello nazionale ed europeo. In Italia i rifiuti edili sono circa 70 milioni di tonnellate, secondo i dati contenuti nel Piano nazionale di gestione dei rifiuti, e per la prima volta si definiscono criteri e parametri di riferimento per trattarli e trasformarli in nuova materia prima.

Si tratta quindi di un vero e proprio regolamento che stabilisce innanzitutto quali rifiuti rientreranno nel provvedimento, i criteri di conformità da rispettare per poter cessare di essere rifiuto e gli scopi specifici di utilizzabilità come sottofondi stradali, piuttosto che riempimenti o confezionamento di calcestruzzi.

180 giorni di monitoraggio

Ci saranno 180 giorni per monitorare il provvedimento, prevedendo nel caso una revisione dei criteri o eventuali rettifiche nella qualifica di rifiuto da costruzione riciclabile. Una novità estremamente importante che si discosta dai consueti decreti che definiscono gli “end-of-waste”.

Gli operatori avranno a disposizione 6 mesi per adeguarsi alle nuove disposizioni presentando un aggiornamento della comunicazione o istanza di adeguamento. Per il periodo transitorio, le novità non si applicheranno ai materiali già prodotti alla data di entrata in vigore del decreto, né tantomeno a quelli che risultano in procedure già autorizzate.

I dettagli del decreto

Il Dm è composto da 8 articoli e 3 allegati contiene le procedure di sicurezza, approvate dal Consiglio di Stato e dalla Commissione Europea, per la produzione di aggregati riciclati dai rifiuti da costruzione inerti a seguito del trattamento dei rifiuti da C&D, stabilendo innanzitutto:

  • i rifiuti interessati (tra i quali ad esempio quelli corrispondenti ai seguenti Codici EER 170102, 170103, 170107, 170302, 170504, 170508, 170904);
  • i criteri di conformità ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto;
  • gli scopi specifici di utilizzabilità dei materiali ottenuti (es. sottofondi stradali, ferroviari, aeroportuali, recuperi ambientali, riempimenti e colmate, confezionamento di calcestruzzi e miscele legate con leganti idraulici);
  • gli obblighi documentali.

Il provvedimento disciplina la produzione di aggregato recuperato da rifiuti inerti dalle attività di costruzione e di demolizione non pericolosi; quindi i codici CER 170101, 170102, 170103, 170107, 170302, 170504, 170904. E i rifiuti non pericolosi di originale minerale, quindi i codici CER 010408, 010409, 010410, 010413, 101201, 101206, 101208, 101311, 120117, 191209.

Quando il rifiuto cessa di essere tale

Secondo l’art. 184 ter, comma 1 del dlgs 152/2006 un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfi i criteri specifici:

  • la sostanza o l’oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici;
  • esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
  • la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
  • l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non portera’ a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Attività di recupero

Il testo del nuovo decreto indica quale siano le attività essenziali del gestore di impianti autorizzati al recupero. Il processo di lavorazione minimo deve prevedere, a mero titolo esemplificativo, la macinazione, la vagliatura, la selezione granulometrica, la separazione dalla frazione metallica e dalle frazioni indesiderate.

Non sono ammessi, ovviamente, alla produzione di aggregato recuperato i rifiuti dalle attività di costruzione e di demolizione abbandonati o sotterrati.

Il produttore di aggregato recuperato applicherà un sistema di gestione della qualità secondo la norma UNI EN ISO 9001, certificato da un organismo accreditato ai sensi della normativa vigente, atto a dimostrare il rispetto dei requisiti previsti dal regolamento.

Destinazioni dell’aggregato recuperato

L’aggregato recuperato dev’essere destinato a: scopi specifici, sottofondi stradali, ferroviari ecc, recuperi ambientali, strati accessori, confezione di calcestruzzi e miscele con leganti idraulici.

Una condizione che è ben chiarita dal decreto è che tali utilizzi non devono costituire potenziale fonte di contaminazione per suolo, sottosuolo e acque sotterranee.

L’aggregato recuperato deve, quindi, soddisfare i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispettare la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti (art. 184 ter, comma 1 lett c). A tal proposito, i 29 parametri da rispettare, con unità di misura e concentrazione limite, sono indicati nel punto d.1) dell’allegato 1 al nuovo dm.

Il rispetto dei criteri sarà attestato dal produttore del materiale edile recuperato tramite una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell’art. 47 del dpr n. 445/2000 (allegato 3 al decreto) da inviare all’Autorità competente e all’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, territorialmente competente. Tale dichiarazione dovrà essere conservata per 5 anni, ad eccezione delle aziende con certificazione ambientale EMAS o ISO 14001. Essa riguarderà ogni singolo lotto di aggregato recuperato, cioè un quantitativo non inferiore a 3.000 metri cubi.

Tempistiche

Entro 180 giorni, dall’entrata in vigore del citato decreto, i gestori di Impianti di trattamento rifiuti titolari di precedenti “comunicazioni e “autorizzazioni” al trattamento rifiuti, sono obbligati:

  • per gli Impianti autorizzati ai sensi dell’art. 216, a presentare un aggiornamento della precedente “comunicazione di inizio attività trattamento rifiuti”;
  • per gli Impianti autorizzati ai sensi del Titolo III-bis della Parte II o del Titolo I, Capo IV, della Parte IV del D.Lgs. 152/2006 (ad esempio autorizzati ai sensi dell’art. 208) a presentare una specifica istanza di adeguamento dell’autorizzazione in essere.

Durante questo periodo transitorio di adeguamento/aggiornamento, i nuovi criteri non si applicheranno ai materiali già prodotti alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, nonché a quei materiali che risultano in esito alle procedure di recupero già autorizzate.

Tali materiali infatti potranno essere utilizzati in virtù di quanto previsto nelle precedenti autorizzazioni a condizione che rispettino i requisiti dei prodotti da costruzione ovvero la marcatura CE e DoP.

L’allarme delle associazioni

“Segnaliamo che il nuovo provvedimento, purtroppo, non soddisfa alcuni aspetti tecnici e gli allegati tecnici al citato regolamento contengono, malauguratamente, alcune prescrizioni (limiti qualitativi) che non è possibile raggiungere”. È questo il commento di Assimpredil Ance che con Ance Lombardia e ANCE nazionale seguono da mesi con apprensione l’iter del regolamento.

“Un de profundis del riciclo – commenta Paolo Barberi di ANPAR su Italia OggiApplicando i limiti indicati dal decreto, gli aggregati riciclati prodotti dal recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione e dalla ristrutturazione degli edifici non saranno in gran parte conformi e non resterà che conferirli in discarica anziché riciclarli, ammesso che sul territorio siano disponibili impianti di questo tipo”.

Da mesi le associazioni di settore esprimono allarme e preoccupazione.

Dal 14 marzo scorso ANPAR, l’Associazione Nazionale Produttori di Aggregati Riciclati, insieme a UNICIRCULAR, ha fatto un grande lavoro di sensibilizzazione e di pressione sulle istituzioni, a partire da ISPRA, i vertici della direzione Economia circolare e del Dipartimento sviluppo sostenibile del MiTE e fino ai ministri Cingolani, Giorgetti e Giovannini. “Abbiamo prodotto un dossier che abbiamo inviato alla Commissione Europea, al Ministero della transizione ecologica al Consiglio di Stato in cui dimostriamo che solo il 20% dei campioni analizzati seguendo gli allegati al decreto, sarebbe reimpiegabile come materia, il resto è destinato alla discarica per inerti“.

Le posizioni di ANPAR sono condivise da FEADEuRIC e FIR, le federazioni europee di riferimento per il settore, che hanno inviato osservazioni e richieste di chiarimento alla Commissione, e anche da ANCECNAANEPLANADECOLegambiente, solo per citarne alcune. E’ stato concordato un intervento con le Regioni LombardiaPiemonteSardegna, che a loro volta hanno riportato e condiviso i problemi sollevati dal testo del regolamento EoW in sede di conferenza Stato-Regioni.

Purtroppo tutto questo non ha dato frutto, a parte l’inserimento nel corpo del decreto dell’art. 7 “Monitoraggio”, che però non chiarisce cosa intenda fare il Ministero al riguardo – conclude ANPAR – Abbiamo quindi valutato di tutelare i nostri associati impugnando il regolamento, pur mantenendo se possibile un canale di dialogo con il Ministero anche attraverso alcuni Parlamentari che condividono le nostre preoccupazioni, per richiedere una modifica alla Tabella 2 dell’Allegato 1 con la quale si consenta di derogare a determinati parametri sulla base dell’utilizzo finale degli “aggregati recuperati” (possibilmente inserendo un limite per gli IPA “totali” anzichè distinti)”.