Per anni, il marchio Saipem è stato sinonimo di idrocarburi. Con la ricerca di nuovi giacimenti petroliferi nelle condizioni più estreme, dai ghiacci dell’artico alle alte profondità oceaniche, alla posa di gasdotti dove nessuno era ancora arrivato, come il Bluestream sotto il Mar Nero, che collega la Russia alla Turchia. Ma il crollo del prezzo del greggio e la crescita inarrestabile delle energie rinnovabili (come l’affermarsi delle auto ibride ed elettriche), ha provocato il costante declino degli investimenti, in particolare nell’attività di estrazione del greggio. Un piano inclinato all’apparenza irreversibile che sta costringendo il gruppo Saipem a cambiare pelle. Puntando su nuove attività industriali, a cominciare da quell a “green economy” che avrebbe potuto causarne la decadenza.
Come ha annunciato l’amministratore delegato Stefano Cao, durante la presentazione dei conti del primo trimestre, Saipem entra nel mercato delle nuove turbine eoliche off shore , giganti da oltre 200 metri d’altezza per la cui posa al largo delle coste sembrano fatte apposta le colossali navi “posatubi” della società di Metanopoli. Un primo passo è già stato fatto: Saipem sta partecipando alla gara del gruppo francese Edf nel mare del Nord per i suoi nuovi parchi eolici. Ma ce ne saranno altri: nonostante il calo delle nuove installazioni nel 2016, gli investimenti sono cresciuti del 40 per cento per una cifra di oltre 18 miliardi di euro ed è previsto – secondo i dati di WindEurope – che raddoppino da qui al 2020. Ma le grandi navi super-attrezzate della società possono essere utilizzate anche per tutte quelle attività che passano sotto il nome di “decommissionig”. Il che tradotto significa che Saipem andrà a smontare, bullone dopo bullone, le piattaforme petrolifere marine che in precedenza aveva contribuito a realizzare. Non si tratta più di andare in giro per i mari di mezzo mondo per costruire piattaforme petrolifere e trivellare i fondali, ma di rimuoverle, un bullone alla volta, piloni compresi. Un’attività che comprende sia lo smontaggio delle strutture in superficie e di tutto quello che sta sotto il livello del mare, sia la chiusura dei pozzi sia le opere di ripristino ambientale.
L’ingresso di Saipem nel decommissioning non è di oggi: negli ultimi 20 anni ha rimosso piattaforme per 130mila tonnellate, ma il mercato conoscerà un’esplosione senza precedenti nei prossimi: soltanto in Europa, tra mare del Nord e Mediterraneo sono previsti lavori per 100 miliardi di dollari da qui al 2040. In parte, dovuti al fatto che le piattaforme più vecchie stanno sfruttando giacimenti ormai esauriti o in via di esaurimento. Ma, in parte, sono causati dal crollo del prezzo del greggio: ha reso economicamente svantaggioso lo sfruttamento dei giacimenti dove il break even è superiore ai 50-60 dollari. Il calo degli investimenti è nei numeri: secondo un recente studio di Barclays, dopo aver toccato l’apice nel 2014 con 669 miliardi di dollari a livello globale, le spese per l’E&P (exploration and production ) sono calate del 26 per cento nel 2015 (a quota 492 miliardi) e di un ulteriore 23 per cento l’anno successivo (377 miliardi), tornando di fatto ai livelli del 2007. Ecco spiegato perché, secondo le tabelle della società di consulenza Ihs Market, il volume complessivo del mercato globale del decommissioning è pari a a 200 miliardi di dollari al 2040, di cui la metà è rappresentato dagli investimenti previsti in Europa. Sempre secondo il report, nei prossimi cinque anni sono attesi 600 progetti da assegnare, mentre al 2030, il mercato dovrebbe essere superiore ai 12 miliardi di investimenti all’anno, mentre al momento non si è mai andati oltre i 2,5 miliardi all’anno.
Lo smontaggio delle piattaforme è sicuramente una via. Così come lo è sfruttare le competenze ingegneristiche per la costruzione di infrastrutture anche nel settore trasporti, a cominciare dall’alta velocità ferroviaria. Da qui, l’idea di partecipare assieme alle Fs alla gara indetta dalla Russia per la realizzazione del nuovo collegamento Mosca- Kazan, una nuova linea da 770 chilometri per cui è prevista una spesa per 28 miliardi di dollari: l’idea è di vincere almeno uno dei tre lotti previsti dal bando. Siccome l’ambizione dei russi è di inaugurare il tracciato già per i prossimi mondiali del 2018, l’appalto dovrebbe essere assegnato a brevissimo per poi essere realizzato a tempo di record. Anche in questo caso non si tratta di una prima volta: Saipem è già il capo-cordata della società che sta realizzando l’Alta Velocità in Italia tra Milano e Verona mentre nel 2011, in consorzio con Maire Tecnimont e Dodsal, ottenne un contratto per la rete ferroviaria di Etihad Rail, ad Abu Dhabi. Le nuove attività potrebbero già impattare nei conti del 2017, le cui previsioni – presentate al mercato con la trimestrale – parlano di ricavi in crescita per 10 miliardi di euro, margini per 1 miliardo e un utile netto di almeno 200 milioni. «Condizioni sfidanti », le ha definite l’ad Cao che per la prima volta appare fiducioso nella ripresa di Saipem, dopo la ristrutturazione aziendale che ha fatto crollare il titolo in Borsa ai minimi storici e all’aumento di capitale da 3,5 miliardi dell’anno scorso, necessario dopo l’uscita dall’orbita di Eni. Il futuro di Saipem riparte da oggi, lasciandosi il petrolio alle spalle.