Il programma di risanamento ambientale rientra nell’ambito degli impegni assunti dal gruppo con il Protocollo d’Intesa del 2014. Per raggiungere l’obiettivo, ci vorranno quattro anni di lavoro, circa 80 persone impiegate nel cantiere e un investimento complessivo di 50 milioni di euro.
L’attività si articolerà complessivamente in quattro fasi. Nella prima è previsto lo svuotamento del “decantatore” e il trattamento dei fanghi estratti in un impianto mobile autorizzato, con il trasporto dei fanghi stessi in un deposito preliminare realizzato in sito e “finalizzato alla successiva messa a dimora in un’area dedicata”.
Nel corso dell’inaugurazione, Eni ha puntualizzato che “tutte le attività di bonifica autorizzate sul territorio di Gela per Syndial, Isaf, RaGe, EniMed sono concluse o in corso di realizzazione”.
L’impegno di Eni verso un nuovo modello energetico, che prevede tra l’altro la promozione dello sviluppo di energie rinnovabili in aree industriali bonificate e non utilizzabili, trova una testimonianza proprio in ISAF dove, nell’ex discarica del petrolchimico, è stato realizzato un impianto fotovoltaico da 5 megawatt per la produzione di energia rinnovabile. “L’impianto, in esercizio dal 2014 – continua Eni – ha consentito sino ad ora un risparmio di 1.600 tonnellate annue di petrolio e conseguentemente una forte riduzione nelle emissioni di CO2”.
Eni e Syndial, inoltre, intendono realizzare a Gela un impianto sperimentale, denominato Waste to Oil, che prevede la produzione di bio-olio dal recupero della frazione organica dei rifiuti solidi urbani del territorio. Il progetto, che utilizza una tecnologia innovativa Eni si caratterizza per gli importanti benefici a livello ambientale derivanti dal riutilizzo della frazione organica dei rifiuti.
La riconversione della raffineria a ciclo tradizionale di Gela in bio-raffineria Eni è stata la prima a riconvertire una raffineria tradizionale, a Venezia per la produzione di bio-carburanti a basso impatto ambientale che si affianca al business tradizionale.
Adesso è la volta di Gela, dove sono iniziati i lavori della raffineria, che abbandona il petrolio per trasformarsi in “green refinery”. Le attività di costruzione della prima fase del progetto, che prevede la riconversione degli asset esistenti di raffineria per poter lavorare olio di palma raffinato (tecnologia Ecofining) in alternativa al ciclo tradizionale, sono state avviate a inizio aprile 2016, immediatamente a seguito della conclusione dell’iter autorizzativo di tale fase. Mentre si sta lavorando alla fase 1, ci si è già proiettati alla seconda fase del progetto che prevede l’utilizzo di un impianto “Steam Reforming” per la produzione di idrogeno e dell’impianto per il trattamento dell’olio di palma e delle materie prime di seconda generazione costituiti dagli scarti della produzione alimentare, come gli olii esausti o i grassi animali. A oggi, soltanto per le attività di riconversione stanno lavorando circa 200 risorse locali per un totale di circa 160 mila ore lavorate. Per il 2017 si prevede di superare le 400 unità locali. Complessivamente, nei cantieri della raffineria, includendo anche le attività di manutenzione e di miglioria e modifica, attualmente sono impiegate più di 600 persone dell’indotto locale.
Tutto questo, non va dimenticato, avviene in un contesto internazionale in cui l’industria della raffinazione in Europa è entrata in una fase di profonda trasformazione determinata dalla contestuale riduzione dei consumi e dalla crescente pressione competitiva internazionale. Inoltre, le crisi geopolitiche hanno determinato la riduzione delle disponibilità di alcune categorie di greggio chiave, in particolare del mercato Mediterraneo.
Con una domanda europea in calo di oltre 2 Mb/g dal picco del 2006 e bassi tassi di utilizzo della capacità, l’industria della raffinazione europea è caratterizzata da una situazione di strutturale debolezza, solo in parte alleviata dalle cospicue chiusure dell’ultimo quinquennio (circa 2 Mb/g) che hanno ridotto di oltre il 10% la capacità dell’area.
Le raffinerie europee sperimentano crescenti pressioni competitive da parte degli operatori americani, mediorientali e russi avvantaggiati da minori costi energetici e di approvvigionamento, maggiori economie di scala e maggiore integrazione con la petrolchimica.
Senza contare che la raffinazione europea è inoltre alle prese con le sfide lanciate dall’Unione Europea: la lotta al cambiamento climatico attraverso la riduzione delle emissioni di CO2 e la riduzione delle importazioni di energia attraverso l’investimento nelle rinnovabili, la diversificazione delle fonti e il risparmio energetico.
Per i prodotti petroliferi questo si traduce in una progressiva sostituzione del loro impiego con fonti dal minore impatto ambientale come il gas e, in prospettiva, con tecnologie alternative come i veicoli elettrici nei trasporti. Anche i biocarburanti sono considerati dall’UE uno strumento strategico di policy e già oggi gli Stati membri devono impegnarsi affinché entro il 2020 il 10% dei consumi di energia del settore trasporti possa essere soddisfatto da fonti rinnovabili.
Biocarburanti come l’etanolo e il biodiesel, che oggi si ricavano dalla lavorazione di materie prime agricole come la canna da zucchero e gli oli vegetali, saranno in futuro prodotti a partire da materiali di scarto e microalghe, tecnologie con un’impronta ambientale estremamente contenuta ma non ancora mature da un punto di vista commerciale.