A Roma c’è chi le arance le ha pesate singolarmente, e tentando di sfuggire alla busta si è trovato a pagare molto di più.
Da nord a sud la terza giornata della saga delle «bioshopper biodegradabili e compostabili», le cosiddette buste bio introdotte a pagamento dal 1 gennaio, è cominciata nel caos. Nei supermercati è bufera, file di consumatori furibondi intasano le casse, mentre fuori si gonfiano le polemiche incrociate tra governo e associazioni e le circolari interpretative dei ministeri cercano di rimediare al pasticcio. Solo sul web impazza l’ironia con meme e fake con l’hashtag #sacchettibio.
Alla fine a fare luce sulle ombre della nuova e controversa normativa della spesa, arriva il parere del ministero della Salute: non si possono riutilizzare le buste, ma sì, si possono portare da casa. A patto che siano monouso. Un’apertura già arrivata dal ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e poi confermata dal segretario generale del dicastero di Beatrice Lorenzin: «Non siamo contrari al fatto che il cittadino possa portare i sacchetti da casa, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti». Un paletto necessario perché, ha spiegato Giuseppe Ruocco, «esiste il rischio di eventuali contaminazioni» tanto che l’ idoneità ai criteri igienici delle stesse buste monouso dovrà essere verificata dai titolari degli esercizi commerciali. Ma più che un chiarimento è benzina per un altro cortocircuito. Che ha il sapore della beffa agli occhi dei consumatori: anche se portate dall’esterno infatti, le buste vanno comunque comprate, devono essere nuove e non riciclate.
La battaglia contro la misura «pseudo ambientale» continua senza tregua con il Codacons che annuncia un esposto in 104 procure chiamando i magistrati a verificare il «possibile reato di truffa» nascosto nella bilancia, dopo che a molti cittadini che hanno provato ad acquistare prodotti ortofrutticoli senza imbustarli, al momento della pesatura è stato in automatico stampato anche il prezzo del sacchetto da 3 centesimi. «Chiediamo alle Procure di aprire indagini alla luce del possibile reato di truffa, verificando il comportamento di ipermercati, supermercati ed esercenti nella vendita dei sacchetti biodegradabili – spiega il presidente Carlo Rienzi – Arrivano segnalazioni da tutta Italia che denunciano come il costo degli shopper venga addebitato in modo del tutto illegittimo». Ed è la mancanza di alternative alle famigerate buste a far scattare le barricate delle associazioni: l’Adoc propone, oltre alla riduzione del costo, anche l’utilizzo della retina: «Invitiamo la grande distribuzione a fissare ad 1 centesimo il prezzo del sacchetto. E invitiamo i ministeri di Salute e Ambiente ad autorizzare l’uso di sporte a rete per l’acquisto dell’ortofrutta, alla stregua di quanto già avviene in altri Paesi europei».
Già l’Europa. L’ondata di contestazioni alle nuove misure si alimenta guardando a quelle in vigore oltreconfine. Soltanto l’Italia ha deciso di recepire in maniera più stringente che altrove una direttiva comunitaria del 2015, e, tramite un emendamento inserito nel decreto legge Mezzogiorno, di far pagare ai clienti i sacchetti sotto i 15 micron usati per contenere frutta, verdura, carne e anche farmaci. Ieri un portavoce della Commissione Ue ha precisato che la direttiva ha l’obiettivo di ridurre l’uso delle buste in plastica, ma non ha affrontato la questione riutilizzo: «Bisogna fare in modo di utilizzare le buste di plastica solo quando non se ne possa veramente fare a meno e, in alternativa, ricorrere ad altri contenitori riutilizzabili per il trasporto dei prodotti dal negozio a casa».