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Delitti contro l’ambiente

Nelle ipotesi delittuose in materia ambientale, la ratio dello stato italiano è quella di ripristinare il degrado e lo scempio

Di Rosa Bertuzzi – Studio Ambienterosa

L’ambito del diritto ambientale e della sua tutela per mezzo di disposizioni penali è innegabilmente contrassegnato da legittimi interessi contrapposti. L’equilibrio normativo che la materia deve, o dovrebbe, perseguire, pone il legislatore nel delicatissimo ruolo di garante in un contesto che impone la salvaguardia dei bisogni di protezione che ciascun consociato merita a livello costituzionale.

Le radicate e legittime istanze sociali di prevenzione e repressione delle violazioni contro l’ambiente spesso si scontrano con le altrettanto legittime necessità di tutela degli interessi economici anch’essi fondamentali per l’equilibrio socio-economico di una nazione.

Quindi, al legislatore, in particolare a quello penale, è affidato il compito di una riforma del diritto penale ambientale sulla scorta della modifica dell’Art. 117 Cost. che ha dato, se pur timidamente, avvio a una riflessione sulla nozione penalistica di diritto dell’ambiente che, oggi, dovrà tener conto del rinnovato art. 9 Cost. “anche nell’interesse delle generazioni future”. Il percorso, pertanto, dovrà necessariamente passare attraverso un cambiamento culturale che consenta di riequilibrare principi normativi nazionali emanati negli anni Novanta, sempre organici con le direttive europee di programmazione in materia, con una loro contestuale lettura costituzionalmente garantita.

Occorre, anzitutto, tenere a mente che la maggioranza delle fattispecie dei reati, per lo più contravvenzionali, disciplinati nel Testo Unico Ambientale (D.lgs. 152/2006) sono di pura condotta e di pericolo astratto. La ragione è dovuta al fatto che l’ambiente è un bene che, generalmente, viene leso, o messo in pericolo, da una serie di condotte spesso disomogenee o formali. Aspettare la realizzazione di un danno concreto per attivare la tutela comporterebbe un affievolimento della protezione del bene stesso.

Dunque, il principio cardine che opera in materia ambientale è proprio il principio di precauzione, il quale esige un controllo continuo ex ante delle attività che sono potenzialmente lesive per l’ambiente, imponendo una soglia di protezione a livello di condotte di solo pericolo. Purtuttavia, il principio va contemperato con ulteriori obiettivi dettati dalla Comunità in analoghi principi quali, per esempio, il principio di azione preventiva e di correzione alla fonte.

Così, gioco forza, in un contesto sistematico, anche la normativa penalistica in materia ambientale dovrà riposizionarsi su precetti che siano conformi all’impianto complessivo. In parole più semplici, un esempio, se pur in altra materia ma speculare, può essere tratto dai principi di diritto rinvenibili nella pronuncia TAR Lazio Sez. III, n. 17216 del 20.11.2023, sulle modalità di definizione del c.d. principio di precauzione.

L’attuale impianto normativo di tutela ambientale, è prevalentemente impostato sull’aspetto sanzionatorio e, in via accessoria, o meglio a ricaduta, su quello ripristinatorio. Quando si verificano atti illeciti in materia ambientale il fine perseguito dallo Stato italiano è quello di porre in essere, attraverso diverse misure, normative e procedure volte a ripristinare il degrado ambientale realizzatosi in concreto. Questo, però, spesso avviene solo dopo l’accertamento giurisdizionale dell’illecito.  

Lo Stato italiano ha a cuore la tutela dell’ambiente e questo si coglie, anzitutto, con l’emanazione del D.lgs. n. 152/2006 (Testo Unico Ambientale), il quale disciplina la protezione dell’ambiente, stabilendone le responsabilità in caso di inquinamento o danneggiamento degli ecosistemi. Talvolta, in seguito alla realizzazione di un reato ambientale è necessario effettuare degli interventi di bonifica (solitamente, stabiliti da autorità competenti quali ARPA, ASL, Province). Lo Stato interviene però anche con la punizione nei confronti dei trasgressori, i quali possono essere destinatari di sanzioni penali e amministrative. Così i due binari, ripristinatorio e sanzionatorio, che dovrebbero scorrere paralleli ma separati, spesso si “intersecano” causando il tracollo del sistema.

Con l’emanazione della Legge n. 68/2015 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, con l’introduzione di specifici delitti contro l’ambiente nel codice penale, meglio conosciuta come “legge sugli ecodelitti” – e per tale introduzione considerata, improvvidamente “svolta epocale” – ha introdotto all’interno del T.U.A. la Parte VI-bis. Questa, che è la vera svolta epocale, sebbene per anni sia passata sottotono, ha introdotto gli articoli dal 318-bis al 318-octies del D.lgs. 152/2006, i quali disciplinano un meccanismo estintivo dei reati contravvenzionali previsti dal Codice dell’Ambiente.

Queste nuove disposizioni, recita l’art. 318 bis, si “applicano alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette”. Si prevede che l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria, così come già avviene in modo proficuo in materia di sicurezza sul lavoro, possano impartire al contravventore una prescrizione e, in seguito, la possibilità che venga asseverata da un soggetto tecnico con competenza nella materia, affinché l’adeguamento del contravventore rispetto alla prescrizione ponga soluzione tutelante per l’ambiente in primis e estingua un’ipotetica fattispecie penalmente rilevante con enorme deflazione del procedimento. 

Si tratta di un meccanismo che consente ai trasgressori di ripristinare il fatto, oggetto di illecito penale, e, dopo aver constatato il puntuale adempimento, è ammesso al pagamento di un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa, eliminando la contravvenzione accertata.

Il “sistema”, che in questi anni ha dimostrato tutta la sua efficienza e idoneità, è ancora circoscritto a un numero di fattispecie limitate e che non riguardano effettive ipotesi di “ripristino ambientale” essendo applicato a ipotesi di violazioni formali più che di concreto ripristino. Infatti il meccanismo può – e non deve – essere applicato a situazioni che non abbiano creato compromissioni per l’ambiente. Così, per i fatti di maggior impatto per l’ambiente o nei casi di danno, occorre “attendere” l’esito dei procedimenti per poter vedere applicate in concreto le misure di rispristino ambientali necessarie.

Per apportare migliorie a situazioni di degrado ambientale, è molto importante che lo Stato ponga in essere una “collaborazione” con gli enti locali, le autorità ambientali e le organizzazioni non governative per monitorare e gestire il ripristino ambientale. Altra modalità di intervento riguarda la possibilità, da parte dello Stato, di attivare piani di azione specifici, che includono misure di emergenza e strategie a lungo termine per la gestione sostenibile delle risorse. Peraltro, lo Stato presta una sempre maggiore attenzione nei confronti della promozione di campagne di sensibilizzazione al fine di educare la cittadinanza sull’importanza della tutela ambientale e delle conseguenze delle attività illecite.

Così, in tale contesto, si rileva l’assoluta mancanza di campagne informative riguardo alle attività lecite che, potenzialmente, possano essere impattanti sull’ambiente. La necessità di una nuova consapevolezza e di una presa di coscienza sulla loro necessaria esistenza nel contesto sociale deve diffondere la cultura del recupero, reimpiego, riutilizzo, tramite sistemi di lavorazione e trattamento dei rifiuti che necessitano di norme tecniche chiare e non solo di deterrenza penalistica, qualora ricorrano violazioni verso in sistema normativo nebuloso e disorganico.

Sentenze pronunciate a tutela dell’ambiente

Tra le sentenze pronunciate, dimostrative di questa logica a tutela dell’ambiente, si citano in particolare:

  • sentenza del Consiglio di Stato Sez. VII, n. 4946 del 3 giugno 2024: nel caso di specie era stata posta in essere un’attività abusiva a cui era stata applicata una misura ripristinatoria dello stato dei luoghi (ovvero una sanzione pecuniaria per il danno arrecato al paesaggio pari al profitto conseguito). Ciò che rileva in questa sentenza è il richiamo a un orientamento giurisprudenziale condiviso secondo cui la misura pocanzi menzionata si atteggia come una misura reale. Essa rappresenta una obbligazione propter rem (imposta per ragioni di tutela del territorio), che produce effetti nei confronti di tutti i soggetti che siano in rapporto con il bene e vanti un diritto reale o personale di godimento (indipendentemente dal fatto che sia o meno l’autore dell’abuso e a prescindere dal momento in cui sia stato commesso l’abuso). Dunque, gli ordini di demolizione e le sanzioni pecuniarie, sono atti di tipo ripristinatorio e restitutorio avendo la funzione di eliminare le conseguenze della violazione paesaggistica, attraverso la riduzione in pristino dello stato dei luoghi conseguente alla rimozione delle opere abusive, rispetto a cui si pone come alternativo il pagamento dell’indennità pecuniaria. Anche questa sentenza è dimostrativa della volontà dello Stato a preservare il paesaggio e l’ambiente. Riconoscendo, comunque, la possibilità di applicare l’asseverazione di cui all’art. 318 bis del d.lgs. n. 152/2006, cioè eliminare la situazione di illiceità paesaggistica solo nel momento in cui è stato assolto l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi;
  • sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV, n. 1110 del 2 febbraio 2024: in questa sentenza si richiama il principio secondo il quale “chi inquina paga”, però si precisa che il proprietario del terreno sul quale sono state depositate sostanze inquinanti, non è responsabile dell’inquinamento (definito perciò come “proprietario incolpevole”) e si ritiene che sia tenuto ad adottare misure di prevenzione (di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 152/2006) e misure di messa in sicurezza emergenza. Gli interventi di riparazione, messa in sicurezza definitiva, bonifica e ripristino gravano unicamente sul responsabile della contaminazione/inquinamento. Queste misure di prevenzione sopracitate, che deve porre in essere il proprietario del sito inquinato, hanno natura preventiva e cautelare, a tutela dell’ambiente. Si conferma nella sentenza l’applicazione del principio di precauzione, che consiste in un criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica. Esso risponde, dunque, alla necessità di fronteggiare e/o gestire i c.d. “rischi incerti”. Il fondamento concettuale della logica precauzionale, come rilevato da un’autorevole dottrina, può essere ricondotto al principio del cosiddetto maximin, in base al quale, quando si tratta di assumere una decisione in condizioni di incertezza, le scelte devono essere valutate tenendo conto del peggior scenario possibile in termini di possibili conseguenze. Ne discende che, in nome dell’idea di precauzione, l’intervento preventivo non può attendere l’inconfutabile prova scientifica degli effetti dannosi, ma deve essere predisposto sulla base di attendibili valutazioni di semplice possibilità/probabilità del rischio, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecniche “attualmente” e “progressivamente” disponibili;
  • Corte di Cassazione Sez. III n. 11166 del 18 marzo 2025: il fatto prende le mosse dall’impedimento all’accesso in azienda da parte delle Forze dell’Ordine. La Suprema Corte ribadisce che tale comportamento è da considerarsi poter ricondurre al c.d. reato di danno delle funzioni di controllo e vigilanza, siccome impedite o compromesse nei loro risultati finale, nonché di pericolo indiretto rispetto al bene finale ambiente, tutelato assieme alla immediata protezione delle funzioni strumentali a tutela del territorio;
  • Corte di Cassazione n. 6839 del 15 febbraio 2024: il caso specifico riguarda uno stoccaggio al di fuori di quanto autorizzato, confermando l’assoluzione dell’imputato in quanto il fatto non aveva creato pericolo o danno, pertanto è intervenuta la “particolare tenuità”.

Si evidenzia come gli interventi normativi e gli orientamenti posti in essere dallo Stato italiano si muovono in una logica precauzionale a tutela dell’ambiente e cercano, altresì, di favorire comportamenti volti a migliorare/ripristinare la situazione ambientale danneggiata dal compimento di atti delittuosi, riportandola alla situazione esistente prima del danneggiamento/violazione.