La rimozione di sussidi alle fonti fossili a livello globale non ridurrebbe necessariamente le emissioni di gas serra CO2. In alcune aree (India e Africa sub-sahariana), le emissioni addirittura aumenterebbero, perché la gente tornerebbe al più economico carbone. Lo sostiene una ricerca pubblicata su Nature, alla quale hanno partecipato due ricercatori del centro Euromediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), Massimo Tavoni e Johannes Emmerling.
Il taglio dei sussidi alle fonti fossili produrrebbe, entro il 2030, una diminuzione delle emissioni di CO2 compresa tra l’1 e il 5%, pari a una quantità compresa tra 0,5 e 2 miliardi di tonnellate di CO2: un numero inferiore agli impegni dell’accordo di Parigi, che richiede una diminuzione di 4-8 miliardi di tonnellate di CO2 (e che comunque non permetterebbe di rimanere sotto i 2C). Le regioni da cui partono le maggiori esportazioni di petrolio e di gas, Medio Oriente e Nord Africa (MENA), Russia e America Latina, raccoglievano nel 2015 i due terzi dei sussidi mondiali. Se fossero eliminati, porterebbero in quest’area geografica a tagli di emissioni uguali o maggiori a quelli stabiliti a Parigi.
In India e nelle regioni africane invece l’eliminazione dei sussidi avrebbe un impatto immediato sulle bollette e sui bilanci familiari, andando ad interessare le fasce di popolazione a reddito più basso. In simili situazioni, e in assenza di misure compensative, il risultato potrebbe essere il taglio dei consumi energetici e l’orientamento verso il più economico carbone come fonte di energia.
Questo per Tavoni non vuol dire che eliminare i sussidi sia una scelta sbagliata per raggiungere gli obiettivi di Parigi.
“Vuol dire piuttosto che eliminare i sussidi è una misura che da sola non basta – spiega -. La tassazione della CO2 rimane uno strumento fondamentale. Le fasce di reddito basse possono essere protette dall’aumento dei prezzi dell’energia con misure compensative (esenzioni o rimborsi) sostenuti dal gettito fiscale derivante dalla tassa”.