Sovente, infatti, l’Amministrazione procedente impone loro di provvedere alla bonifica dei terreni, senza alcuna verifica della sussistenza o meno del requisito della responsabilità colpevole, ma semplicemente utilizzando il criterio dominicale…
Quello della bonifica dei siti contaminati rappresenta, oggi, una delle principali urgenze nel nostro Paese e proprio per questo motivo analizzato a lungo nelle pagine di questa rivista. Dopo aver effettuato:
– una panoramica sulla giurisprudenza in materia di bonifiche, immediatamente successiva all’entrata in vigore, nel 2006, della nuova disciplina (Eco n. 1);
– l’analisi della gestione delle acque emunte dalla falda, nell’ambito di procedimenti di bonifica (Eco n. 4) e delle opportunità offerte dal decommissioning industriale e dalla gestione dei brownfields (Eco n. 5);
– la disamina delle implicazioni penali dell’omessa bonifica (Eco n. 6) e delle “manipolazioni interpretative” di parte della giurisprudenza, con riferimento al parametro dell’MTBE (Eco n. 7);
– un’introduzione generale alle molte problematiche di tipo civilistico, relative alla compravendita di siti (potenzialmente) contaminati (Eco n. 9);
in questo numero intendo porre l’attenzione sul regime delle responsabilità in capo ai soggetti titolari dell’area (per operazioni di gestione di rifiuti e/o bonifica), nelle sue molteplici sfaccettature.
La distinzione fra rimozione dei rifiuti e bonifica del sito
In materia di gestione dei rifiuti, la responsabilità del proprietario del terreno nel quale questi si ritrovano abbandonati deve essere accertata in concreto, quanto meno a titolo di colpa, e di tale responsabilità se ne deve dare atto nel provvedimento che ne ordina la rimozione: sono le parole del TAR Milano (1107/10), il quale prosegue sottolineando che, ai sensi dell’art. 192, comma 3, del TUA, il Comune, oltre ad essere competente ad emanare le ordinanze di rimozione dei rifiuti e di redazione di un piano di bonifica di un’area inquinata, non ha alcun obbligo di eseguire in danno le ordinanze emesse a carico del responsabile dell’inquinamento, e può procedere a tale operazione solo quando ha verificato che nessun altro strumento a sua disposizione si è rivelato praticabile. Di conseguenza, l’esecuzione d’ufficio delle ordinanze emesse (nel caso concreto) contro la società fallita responsabile dell’inquinamento non può essere ritenuta come presupposto di legittimità per procedere all’emissione dell’ordinanza di bonifica nei confronti dei proprietari dell’area.
Fatta questa premessa, è opportuno sgomberare il campo da un equivoco di fondo, che spesso conduce le Amministrazioni competenti ad agire al di fuori dei limiti consentiti, in modo affrettato e non definitivo.
Mi riferisco, in particolar modo, alla (voluta?) confusione che, spesso, viene fatta fra la normativa sulla gestione dei rifiuti e quella sulla bonifica dei siti contaminati.
A tale proposito, una recente sentenza del TAR di Brescia (1148/10) ha affermato con forza che “occorre distinguere tra rimozione dei rifiuti e bonifica del sito. Con la prima si pone fine a una discarica incontrollata, mentre la seconda si occupa della situazione di inquinamento che da tale discarica sia derivata”: nella specie, il Collegio ha messo in evidenza che il provvedimento impugnato confondeva, invece, questi concetti, e ordinava la bonifica tramite rimozione, alla quale non segue necessariamente la bonifica del sito.
Il passaggio dalla remissione in pristino alla vera e propria bonifica oggi è disciplinato per fasi successive: all’epoca dei fatti non esisteva una normativa così specifica, ma vi erano in ogni caso le condizioni sia per distinguere qualitativamente tra la bonifica e la semplice rimozione dei rifiuti, sia per riconoscere che il proprietario incolpevole è estraneo all’obbligo di bonificare il sito.
Detto questo, e nell’alveo di un’interpretazione coerente anche nel suo sviluppo temporale, lo stesso TAR di Brescia mette in risalto che il DPR 915/82 (normativa allora applicabile), nello stabilire che “la rimozione dei rifiuti avvenga in danno dei soggetti obbligati”, non prevedeva una responsabilità oggettiva a carico del proprietario del terreno: formula che può essere considerata equivalente alla norma attualmente vigente, che pone l’obbligo della rimozione a carico dei responsabili dell’abbandono dei rifiuti “in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa”.
Sempre sulla linea di demarcazione fra gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati, il TAR Firenze recentemente (910/10) è tornato ad occuparsi della posizione particolare che riveste il curatore fallimentare rispetto all’ordine di smaltimento dei rifiuti: in linea di principio, sottolinea il Collegio, i rifiuti prodotti dall’imprenditore fallito non costituiscono beni da acquisire alla procedura fallimentare e, quindi, non formano oggetto di apprensione da parte del curatore.
In ogni caso, posto che, a fondamento dell’obbligo di ripristino e messa in sicurezza conseguente alla contaminazione del suolo e dell’ambiente, il nostro ordinamento pone il principio della responsabilità, l’esercizio dei poteri è subordinato alla circostanza che il destinatario dell’ordine risulti responsabile dello smaltimento abusivo o dell’inquinamento almeno a titolo di colpa, non potendosi configurare a suo carico una responsabilità di tipo oggettivo: di conseguenza, anche nei confronti del curatore fallimentare non è configurabile alcun obbligo ripristinatorio in ordine all’abbandono dei rifiuti “in assenza dell’accertamento univoco di un’autonoma responsabilità del medesimo conseguente alla presupposta ricognizione di comportamenti commissivi, ovvero meramente omissivi che abbiano dato luogo al fatto antigiuridico”.
In definitiva, anche se non tutta la giurisprudenza si attesta su tale posizione, si può affermare che in tema di bonifiche, è escluso che l’evento possa essere imputato, a titolo di responsabilità oggettiva, in capo al proprietario dell’area che non abbia, in alcun modo, concorso alla produzione dell’evento: il rischio, infatti, è quello di agevolare l’impunità dei soggetti autori dell’inquinamento perché – ipotizzando che la P.A. recuperi i costi integrali della bonifica a carico del proprietario-detentore incolpevole del suolo – ne deriverebbe che resterebbe a costui la rivalsa sul precedente proprietario-possessore inquinante.
Quando il proprietario è il Comune
La giurisprudenza sopra citata chiude il cerchio affermando che il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare le spese degli interventi adottati dall’autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito, determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi.
Tale criterio, tuttavia, non può certo predicarsi per il soggetto titolare di diritti reali che la normativa primaria individua come responsabile della gestione territoriale nel suo complesso: il Comune, rispetto al quale valgono evidentemente gli oneri complessivi riferibili alla realizzazione del piano di bonifica tutte le volte che lo stesso non sia assistito da specifico finanziamento.
Tale soggetto, infatti, è tenuto all’esecuzione dell’intervento in virtù non già di titolo proprietario, ma per le attribuzioni specifiche di enti territoriali e delle collegate strutture ordinamentali (così, Consiglio di Stato, 1503/10).
Le misure d’urgenza e la partecipazione al procedimento
Sulla scia di questa interpretazione, il TAR Firenze (594/10), dopo aver ribadito che la disciplina dettata dal Testo Unico Ambientale in materia di bonifica dei siti contaminati è ispirata al principio secondo cui l’obbligo di bonifica è posto a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa, a titolo di dolo o colpa, sottolinea che il principio “chi inquina, paga” vale anche per le misure di messa in sicurezza di emergenza, in quanto anche queste ultime sono addossate – dalla normativa in discorso – al soggetto responsabile dell’inquinamento.
Nel caso di specie il Collegio, nell’accogliere il ricorso di una società mera proprietaria di un sito da bonificare ma non responsabile dell’inquinamento, ha affermato che a carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi di messa in sicurezza di emergenza, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area interessata libera da pesi.
Nell’ottica di assicurare la massima trasparenza in merito alla definizione delle responsabilità dell’inquinamento, inoltre, il TAR Firenze ha messo in risalto che nei procedimenti in materia di bonifica ambientale è necessario che la P.A. consenta ai soggetti destinatari delle prescrizioni di partecipare al relativo procedimento, “quantomeno con riguardo alle fasi procedimentali in cui emerge l’esistenza di una contaminazione del terreno e della falda acquifera nell’area in esame”.
Il proprietario jure successionis
Del resto, sulla linea interpretativa esposta finora si era già “posizionato” il Consiglio di Stato (1826/09), il quale aveva affermato che “il principio secondo cui il soggetto che ha prodotto l’inquinamento del suolo è tenuto a sopportare le spese della bonifica del medesimo, affermato, sul piano nazionale, dall’art. 14 del D.Lgs. 22/97, è stato successivamente trasfuso nel D.Lgs 152/06. Di conseguenza, può essere chiamato a rispondere solamente colui che ha provocato l’inquinamento, sulla base del principio comunitario “chi inquina paga”.
Questo principio, tuttavia, deve essere contestualizzato: nel caso di specie, infatti, il Collegio ha accolto il ricorso di un Comune, volto ad ottenere la riforma della sentenza di un TAR, con la quale il Giudice di prime cure aveva accolto i ricorsi per l’annullamento di un’ordinanza del Sindaco con la quale erano stati disposti adempimenti per la bonifica ambientale nell’area di proprietà dei ricorrenti.
Il Collegio ha messo in evidenza che non era controverso il fatto che i rifiuti pericolosi fossero stati depositati sui terreni degli appellati da industrie petrolifere, successivamente fallite: la questione dirimente era che di tale attività i proprietari dell’epoca, non solo fossero a conoscenza, ma l’avessero consapevolmente consentita.
In sostanza, il problema non riguardava la responsabilità diretta delle parti appellate nella realizzazione di discariche abusive, non in discussione, ma la sussistenza a loro carico dell’obbligo di provvedere alla bonifica delle aree di cui sono divenuti proprietari jure successionis.
Il profilo causale e la regola del “più probabile che non”
Come è stato più volte sottolineato, la mera qualifica di proprietario o detentore del terreno inquinato non implica di per sé l’obbligo di effettuazione della bonifica: di conseguenza, tale obbligo può essere posto a suo carico solo se responsabile o corresponsabile dell’illecito abbandono.
Come valutare tale corresponsabilità?
La risposta a tale domanda viene dal TAR Torino (1575/2010), il quale sottolinea che, sotto il profilo causale, anche in campo amministrativo-ambientale non può non valere la regola, codificata nel processo civile del “più probabile che non”, secondo la quale “ai sensi degli art. 40 e 41 c.p., un evento è da considerarsi causa di un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo; ma l’applicazione di tale principio, temperato dalla regolarità casuale, ai fini della ricostruzione del nesso eziologico, va applicata alla peculiarità delle singole fattispecie normative di responsabilità civile o amministrativa, dove muta la regola probatoria”.
In sostanza il Collegio ha sottolineato che, mentre ai fini della responsabilità penale, vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio, nel processo civile, così come nel campo della responsabilità civile o amministrativa, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non, facilmente riscontrabile, nel caso di specie.
Un obbligo è “per sempre”
Questa breve panoramica sulle precise responsabilità dei diversi soggetti coinvolti nelle operazioni di bonifica, si conclude con un’affermazione ovvia ma dovuta perché, nei fatti, ignorata: l’obbligo di bonifica accompagna il responsabile dell’inquinamento anche quando questi non gode o si è spogliato della disponibilità del sito.
L’obbligo di bonifica, infatti, prescinde dalla disponibilità dell’area compromessa e si collega semplicemente alla condotta determinativa dell’inquinamento o del pericolo di inquinamento: in altre parole, il responsabile del degrado è sempre tenuto a ripristinare la precedente situazione ambientale, indipendentemente dal rapporto giuridico sussistente in relazione al bene contaminato.
Nel caso di specie, il Collegio (TAR Napoli, 1824/10) ha sottolineato che il Comune, laddove eventualmente individuato come soggetto responsabile di attività inquinanti a danno di un immobile, non potrebbe mai perdere tale qualità con il semplice trasferimento della detenzione dell’immobile stesso ad altri soggetti, che mai, una volta entrati nella disponibilità del bene, potrebbero acquistare la posizione di coobbligati del responsabile dell’inquinamento.
In definitiva, fermo restando il dovere di bonificare, quanto prima (e nel miglior modo possibile), i siti contaminati, sarebbe il caso di mettere un freno a questa “frenesia bonificatrice”, che rischia di risolversi in un nulla di fatto, perché ordinare la bonifica con la rimozione dei rifiuti è un po’ come mettere la polvere sotto il tappeto.
E appioppare gli oneri al mero proprietario, sulla base del semplice criterio dominicale, ha come perverso risultato quello di bonificare le responsabilità.