Coprono un’area equivalente alla Val d’Aosta i 41 siti inquinati nazionali (Sin) e i 29.700 siti di interesse regionale, non meno contaminati. Per bonificarli occorrono 30 miliardi di euro: ne sono stati spesi 3. Il punto sul risanamento dei siti industriali italiani è stato fatto in due inchieste, dal Corriere della Sera e dal Sole 24 Ore, sulla base dei dati dell’Ispra.
I 41 Sin coprono il 4% del territorio nazionale e lo attraversano da Nord a Sud. Tra quelli più pericolosi tre sono in Sicilia: Gela, Priolo e Siracusa rappresentano, per estensione, i due terzi del totale. Nel Lazio, la Valle del Sacco, è una delle più inquinate d’Europa: un mix di industrie, discariche abusive, sversamenti illegali e rifiuti interrati. In Veneto c’è la vastissima area (duemila ettari) di Porto Marghera, inquinata da oltre un secolo di storia industriale. Allo scempio si aggiungono tante piccole e grandi realtà regionali contaminate (nella maggior parte dei casi da idrocarburi e metalli): vecchi siti industriali dismessi, discariche abbandonate, con falde acquifere e suoli compromessi. Tra queste ne spiccano 17, particolarmente pesanti, la cui competenza amministrativa è passata dal ministero dell’Ambiente alle Regioni nel 2013.
La stima dei costi per bonificare tutto si aggira intorno ai 30 miliardi di euro. Molti progetti di risanamento sono già avviati, ma i programmi vanno a rilento e devono fare i conti con le lungaggini burocratiche e qualche ricorso giudiziario. Ad oggi sono stati spesi 3 miliardi e 148.685 mila euro, provenienti da finanziamenti straordinari, in molti casi però le bonifiche non sono ancora partite. A leggere i dati dell’Ispra relativi allo stato di avanzamento delle opere e degli interventi di risanamento sui Sin si scopre che il 66% delle aree a terra è stato caratterizzato, mentre solamente il 13% delle aree ha il progetto di bonifica approvato e il 16% delle aree ha il procedimento concluso perché risultate non contaminate o perché con bonifica conclusa.
Nel rapporto “Dalla bonifica alla reindustrializzazione” (dicembre 2019) Confindustria ha individuato il settore come uno dei principali driver di sviluppo del Paese e propone un ecobonus e procedure semplificate per chi investe nei siti.
Legambiente, associazione che da 40 anni monitora i siti inquinati e ha redatto più d’un rapporto, indica il Recovery Fund come “occasione imperdibile, un volano per l’economia, per il risanamento del territorio e per la salute”.