di Luca Arfini
I fertilizzanti sintetici oggi nutrono metà della popolazione mondiale – malgrado i loro ben noti effetti ambientali. Un progetto di ricerca finanziato dall’UE mira a garantire un futuro agricolo sostenibile attraverso i biofertilizzanti e a un approccio ispirato all’economia circolare.
Se si pensa che a oggi la popolazione mondiale conta circa 8 miliardi di persone, con una crescita prevista di oltre 9 miliardi entro il 2050, è facile comprendere perché i moderni fertilizzanti sintetici siano considerati essenziali per un’industria alimentare capace di sostenere lo sviluppo demografico del nostro pianeta.
Bisogna tuttavia considerare che si tratta anche di composti particolarmente ricchi di azoto, fosforo e potassio. Sebbene tali nutrienti siano indispensabili per aumentare la produttività del suolo, un loro utilizzo eccessivo può essere dannoso per l’ambiente. Inoltre, la produzione di tali fertilizzanti azotati sintetici richiede un ingente utilizzo di gas naturale – cosa che oltre a immettere CO2, ha ovviamente anche ricadute economiche sul prodotto stesso.
I picchi nel prezzo del gas naturale dovuti all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ad esempio, hanno portato ad un conseguente rincaro di alcuni tipi di fertilizzanti nel 2022 – del 149% in UE e fino al 300% in alcune nazioni dell’Africa.
In media, gli acquisti di fertilizzanti rappresentano circa il 6% dei costi di produzione totali, ma per gli agricoltori di seminativi, questa percentuale può arrivare fino al 12%. Si tratta di una questione delicata, in quanto oggi i fertilizzanti sintetici nutrono praticamente metà della popolazione mondiale.
Il Regolamento Europeo sui fertilizzanti
Una possibile risposta è arrivata recentemente a livello europeo tramite l’entrata in vigore a luglio 2022 del Regolamento (UE) 2019/1009 sui prodotti fertilizzanti, assieme alla successiva comunicazione della Commissione Europea per “Garantire la disponibilità e l’accessibilità economica dei concimi“, pubblicata a novembre 2022.
Uno dei punti chiave del nuovo regolamento è la semplificazione dell’accesso dei fertilizzanti organici innovativi al mercato europeo, in particolare quelli ottenuti da rifiuti recuperati e sottoprodotti. L’utilizzo di tali fertilizzanti non solo permette infatti all’UE una maggiore indipendenza dal gas naturale, ma favorisce anche una fertilizzazione bilanciata e una gestione più sostenibile dei nutrienti, garantendo una migliore protezione dell’ambiente.
In particolare, le nuove norme UE stabiliscono i requisiti di sicurezza, qualità ed etichettatura che le imprese produttrici e venditrici di tali fertilizzanti devono rispettare prima di ottenere il marchio CE. Questo consente ai loro prodotti di essere commercializzati liberamente in tutta l’UE senza ulteriori formalità e di garantire ai consumatori un livello uniforme di protezione.
Tuttavia, il regolamento è facoltativo, quindi i produttori rimangono liberi di scegliere se mettere a disposizione fertilizzanti armonizzati o non armonizzati sul mercato interno – seguendo le norme nazionali vigenti.
La comunicazione della Commissione Europea propone inoltre una serie di linee guida e soluzioni per aiutare gli agricoltori a ridurre la dipendenza dalla Russia, promuovere un’agricoltura resiliente e sostenibile e aumentare l’efficienza del riciclaggio dei nutrienti nei rifiuti organici.
Tutto ciò è anche volto a contribuire all’obbiettivo della strategia UE “dal produttore al consumatore” di ridurre le perdite di nutrienti del 50% entro il 2030, preservando la fertilità del suolo. Contemporaneamente, a livello europeo stanno anche nascendo nuove iniziative per implementare la produzione di questi nuovi fertilizzanti.
“I flussi di rifiuti organici provenienti da processi industriali, agricoli, dalla produzione alimentare e da altre attività umane offrono diverse opportunità per creare valore,” spiega il dott. Kyriakos Panopoulos, ricercatore principale presso il Centro per la ricerca e la tecnologia Hellas e l’Istituto per i processi chimici e le risorse energetiche.
Il progetto NOMAD
Panopoulos è anche coordinatore di NOMAD, un progetto europeo che riunisce esperti e partner provenienti da otto diverse nazioni (Cina, Germania, Grecia, Italia, Malta, Paesi Bassi, Regno Unito e Romania) per sviluppare una tecnologia mobile pensata per valorizzare i rifiuti organici.
“Ci sono industrie a piccola scala, come le centrali di biogas, che non possono permettersi di installare un proprio impianto di trattamento e recupero delle acque reflue; quindi, abbiamo pensato a una soluzione mobile dotata di tutte le tecnologie necessarie a fornire direttamente agli agricoltori fertilizzanti derivati dal digestato adattati alle loro esigenze di terreno e coltura.”
Il digestato è un sottoprodotto liquido contenente nutrienti e fibre recuperati che gli agricoltori possono utilizzare per sostenere la crescita delle colture. Tuttavia, se applicato direttamente, può avere effetti negativi a lungo termine sull’ambiente, come l’acidificazione del suolo. Pertanto, gli agricoltori devono elaborarlo ulteriormente con attrezzature moderne a prezzi accessibili.
La tecnologia NOMAD fa proprio questo: recupera i nutrienti dal digestato per produrre biofertilizzanti ad alte prestazioni, riducendo così al minimo il potenziale impatto ambientale dovuto al suo uso diretto. Il prodotto risultante è più sostenibile, poiché migliora la gestione dei nutrienti nel suolo e riduce i rifiuti organici e la dipendenza generale dai fertilizzanti chimici.
Secondo Leonardo Verdi, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali dell’Università degli Studi Firenze, una tecnologia come quella offerta da NOMAD potrebbe aiutare i professionisti del settore offrendo una soluzione scalabile ed economica.
“Al giorno d’oggi in agricoltura è impossibile diventare ricchi. […] Il settore agricolo europeo, così come è organizzato in questo momento, è costituito da molte piccole aziende con opportunità di crescita scarse. Il loro sostentamento è fortemente dipendente dai fondi europei.”
I siti pilota in Grecia, Italia, Malta e Regno Unito
Per testare la versatilità di questa tecnologia in diverse aree geografiche, climatiche e in differenti condizioni del suolo, sono stati scelti quattro siti pilota in Grecia, Italia, Malta e Regno Unito. Questi test sono stati pensati in base alle sfide che ciascun paese deve affrontare sul suolo nazionale e ai requisiti degli agricoltori.
Ciò servirà anche a identificare le caratteristiche specifiche del digestato e gli eventuali ostacoli normativi. “Crediamo che [NOMAD] rappresenti il modo giusto per sviluppare un’economia circolare locale basata sull’agricoltura e sulla produzione alimentare,” spiega Panopoulos. “Ma saremo pienamente soddisfatti solo quando vedremo il processo finalmente incorporato nel mercato reale.”
Il progetto NOMAD, terminato a giugno, è stato finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020 della Commissione europea. Oggi, lascia un’eredità di modelli pratici e scalabili per la gestione della digestione anaerobica, del digestato e dei rifiuti organici, facilitando lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile negli anni a venire.