Ad ogni lavaggio in lavatrice, milioni di fibre microplastiche, particelle inferiori ai 5 millimetri di lunghezza, finiscono in mare causando danni all’ecosistema. Secondo il team dell’università di Plymouth, nel Regno Unito, che per un anno ha analizzato ciò che accadeva quando i materiali sintetici venivano lavati a temperature diverse, tra i 30 e i 40 gradi, con differenti combinazioni di detergenti, ogni ciclo rilascerebbe circa 700.000 fibre di microscopiche particelle nell’ambiente.
L’acrilico è uno dei tessuti peggiori in grado di liberare circa 730.000 di minuscole particelle, cinque volte in più del tessuto misto cotone-poliestere che ne cede 137.000. Un solo carico di 5 kg di materiale in poliestere produce tra i 6 e i 17,7 milioni di microfibre, secondo i dati di uno studio pubblicato da Environmental Pollution (2017, De Falco,F.,et al., Evaluation of microplastic release caused by textile washing processes of synthetic fabrics).
“Queste microfibre raggiungono il mare perché non bloccate dagli impianti di trattamento”, spiega Rosalba Giugni, presidente di Marevivo, che dopo aver ottenuto la messa al bando delle microplastiche nei cosmetici, lancia la campagna #stopmicrofibre per sensibilizzare sul problema delle microplastiche rilasciate dai tessuti sintetici in lavatrice.
Il danno, spiega l’associazione, sarebbe non solo ambientale perché le particelle entrano nella catena alimentare accumulandosi negli apparati digerenti degli animali, riducendo anche la loro capacità di assorbire il cibo. “Scienziati di tutto il mondo stanno lavorando per trovare una soluzione. La prima fra tutte – sottolinea Giugni – deve essere quella di studiare tessuti senza rilascio di microfibre. Non è semplice, nel frattempo ognuno di noi può fare qualcosa per aiutare il mare”.
Cosa? Ridurre, riciclare e riusare. Cioè: “ridurre gli acquisti superflui, usare più a lungo i capi acquistati e riciclarli correttamente, effettuare lavaggi meno frequenti usando programmi per la lavatrice brevi, a basse temperature e con una velocità della centrifuga ridotta”, spiega la presidente di Marevivo.
Dallo studio dell’Iucn “Primary Microplastics in the Ocean” del 2017 è emerso che tra tutte le microplastiche primarie (quelle che non si formano dalla decomposizione dei rifiuti) che finiscono in mare, il 35% è rappresentato dalle microfibre dei tessuti sintetici. Tra i tessuti sotto accusa ci sono l’acrilico (PC) e il poliestere (PL).
Materiali che dovrebbero essere sostituiti da altri più sostenibili che non rilascino sostanze pericolose e microfibre, come suggerisce la fondazione Ellen MacArthur che in un recente studio “A New textiles economy” ha denunciato come gli abiti scarichino ogni anno mezzo milione di tonnellate di microfibre negli oceani. Una quantità pari a oltre 50 miliardi di bottiglie di plastica.
Sostenuta dalla stilista Stella McCartney, Ellen MacArthur ha lanciato la campagna per ridurre le emissioni prodotte dalla moda. Negli ultimi anni si è avuta una crescita esponenziale del “pronto moda” (dal 2000 al 2014 la merce prodotta è raddoppiata ed è in continua crescita) e l’impatto sull’ambiente è aumentato notevolmente.
Investire su tessuti sintetici più eco-friendly potrebbe rappresentare una valida soluzione visto che il 60% di tutti gli indumenti a livello globale è realizzato in poliestere ma è necessario anche migliorare il sistema di filtraggio dei depuratori delle acque reflue.