Per gli scienziati che studiano il clima, il futuro è già adesso. La Terra è in piena «emergenza climatica». Come scienziati abbiamo «il dovere morale di dire la verità e di lanciare l’allarme quando l’umanità corre un pericolo catastrofico». Sono le prime parole dello studio pubblicato sulla rivista BioScience, firmato da più 11.000 ricercatori di 153 Paesi, tra cui circa 250 italiani.
La ricerca è basata su 40 anni di dati scientifici pubblici e parla di rischio di «indicibili sofferenze umane», senza cambiamenti profondi e duraturi. I primi firmatari sono Thomas Newsome, dell’Università australiana di Sydney, William Ripple e Christopher Wolf, dell’Università statale americana dell’Oregon, Phoebe Barnard dell’Università sudafricana di Cape Town e William Moomaw, dell’Università americana Tuft. Aumento della deforestazione, scioglimento dei ghiacci, maggiore riscaldamento e acidità degli oceani, crescita della concentrazione atmosferica dei gas serra: sono tanti per gli scienziati «i segnali preoccupanti dell’attività umana» sul Pianeta.
Ma come cambiare rotta? Nello studio gli esperti indicano 6 strategie chiave:
– riforma del settore energetico che punti sulle rinnovabili e lasci i combustibili fossili nel sottosuolo,
– riduzione degli inquinanti come le polveri sottili,
– salvaguardia e ripristino degli ecosistemi naturali,
– ottimizzazione delle risorse alimentari riducendo il consumo di carne e lo spreco di cibo,
– passaggio a un’economia `carbon free´
– tutela delle popolazioni garantendo più giustizia sociale ed economica
«Lo studio dimostra che nella comunità scientifica esiste un ampio consenso sui cambiamenti climatici e sulle loro cause», ha detto uno dei firmatari italiani, Giorgio Vacchiano, ricercatore di gestione forestale all’Università Statale di Milano. Per Vacchiano, «bisogna smettere di impostare lo sviluppo sulla crescita economica individuale, ma puntare a una visione nuova, che tenga conto del nostro legame con gli ecosistemi. Perché l’umanità – aggiunge – dipende strettamente da un clima stabile». Gli scienziati sottolineano anche la presenza di segnali positivi e incoraggianti, come una maggiore consapevolezza dei rischi legati alla crisi climatica, soprattutto tra le giovani generazioni. «Molti cittadini – concludono gli esperti – stanno chiedendo un cambiamento, e diverse città, imprese e Stati stanno iniziando finalmente a rispondere».
Un altro dei firmatari del documento, Ferdinando Boero (professore di Zoologia e Biologia Marina all’Università del Salento) afferma: «Migliaia di scienziati di tutto il mondo sottoscrivono un ennesimo appello sull’emergenza clima. Tra loro ci sono anche io. Non siamo Greta, il nostro impatto sul pubblico è basso. Ma quel che dice Greta si basa sul nostro lavoro. L’attuale governo italiano, per la prima volta nella storia, ha messo molti punti nel suo programma che ricalcano i nostri suggerimenti. Ma la consapevolezza di questo cambio di paradigma è scarsa, persino nello stesso governo. Quanti sono a sapere che la sostenibilità dovrebbe essere un cardine dell’azione di governo? Tutti continuano a chiedere la crescita economica, ma non è questa la strada. Dobbiamo chiedere sviluppo. La nostra economia è obesa e sporcacciona. Consuma moltissimo e inquina. Si deve mettere a dieta e deve fare pulizia. La transizione verso nuovi stili di vita rappresenta un’opportunità di sviluppo che il nostro paese non dovrebbe lasciarsi sfuggire. Rimane una cosa importantissima: la consapevolezza. E questa inizia da scuola. Greta, e i milioni di giovani come lei, protesta per cose di cui non c’è traccia nei programmi scolastici. Oppure c’è per la buona volontà di docenti sensibili. La sostenibilità e i suoi principi sono una cosa seria che non può essere frutto di improvvisazione. Il messaggio di Greta è lo stesso di Al Gore (che ha vinto un Oscar e un Nobel per questo) e di Papa Francesco (che ha scritto Laudato Si’ per chiedere la conversione ecologica). A forza di insistere la sostenibilità è finita nei programmi di governo, ma ora si tratta di passare dalle parole ai fatti, e non si possono fare con gli slogan, ci vogliono le competenze. E queste si creano a scuola, dove queste cose non si insegnano. Corriamo il rischio che a riparare i problemi di oggi saranno chiamate persone con la cultura che li ha determinati» conclude Boero.