A Roma, al mercato del rione Trionfale, tutti in fila per vendere plastica, olii esausti, cartone, alluminio. Si può incassare o scegliere di fare beneficenza
Nella discarica a cielo aperto in cui sembra essersi trasformata la Roma dei cassonetti straboccanti e dell’immondizia abbonata per le strade, una cosa così potrebbe sembrare una goccia nell’oceano. E in qualche modo l’oceano c’entra, perché è proprio dall’amore per il mare e dalla voglia di liberarlo dalla plastica che ha inizio la storia di “Box 95”: un banco del mercato rionale Trionfale che all’ombra della cupola di San Pietro, e in attesa che si realizzino i mirabolanti piani del Comune, è diventato un modello del riciclo fai-da-te.
A due passi dai banchi del pesce e in mezzo alle cassette cariche di clementine e peperoni, infatti, Silvia Cavaniglia, 46 anni, compra i rifiuti della gente. Ovvero paga i flaconi di detersivo, i giornali, le scatole di fagioli e di tonno, le pentole, le caffettiere e quant’altro di cui ci si vuole liberare, a patto che i contenitori siano puliti. Lei, che nel curriculum ha 13 anni di servizio in una cooperativa satellite dell’Ama – la municipalizzata che gestisce l’immondizia a Roma – seleziona i rifiuti, li compatta e poi li rivende alle aziende che con gli scarti producono nuova materia. Spesso preziosa. Esempio. Il filo per la stampante in 3D? È “figlia” dei tappi, quelli di bottiglia. L’olio fritto della bella padellata di olive ascolane? Progenitore del biodiesel. E così via con la second life.
“Economia circolare”, la chiamano quelli che hanno studiato Keynes e Taylor. “Un modo per creare ricchezza per tutti e non inquinare”, spiega più semplicemente Silvia che ha messo su questa startup tre anni fa. “Nonsonorifiuti.it” è partita in sordina e conta ormai più di 4.300 iscritti. Persone del quartiere che al mercato fanno la spesa. Arrivano col carrello pieno di bottiglie di plastica ed escono con i pomodori. Ma non solo, il passa parola ha fatto aumentare di mese in mese la clientela. “Tanti mi vengono a portare l’olio esausto che, volendo fare la differenziata, andrebbe sversato nei bidoni delle isole ecologiche, non sempre vicine a casa” continua Silvia. “Sarà anche per questo che ancora in troppi lo buttano nel lavandino o nel water. Un vero attentato: un litro d’olio fritto inquina 10.000 litri di acqua di mare”.
Occhi neri, treccia lunga, imbacuccata in una felpa rossa, Silvia snocciola numeri, percentuali, pillole di ecologia mentre pesa la mercanzia delle persone in fila. Tantissime per essere un giorno in mezzo alla settimana. “C’è chi lo fa per guadagnare qualche soldino e chi perché così è sicuro che i rifiuti non vengano buttati in discarica, né nell’inceneritore, né tantomeno in mare” racconta mentre è in coda Paola Catani, che ha portato dispenser di detersivo e lattine di coca cola, oltre a un vecchio decoder. “Il ricavo è irrisorio. Io in tre anni avrò racimolato 20 euro. E li ho lasciati in beneficenza”.
L’economia circolare di Silvia infatti prevede anche la modalità “onlus”. Ogni venditore ha un conto privato, dove di volta in volta vengono accreditati i soldi. Pochi centesimi alla volta. Raggiunta una somma un po’ più congrua si viene avvertiti on line. E si decide: incassare o fare un bonifico ad associazioni no profit. Croce Rossa, Emergency, Lega arcobaleno. “Mi piacerebbe che in ogni mercato ci fosse un “Nonsonorifiuti.it”. Per mettere su un’azienda come questa bastano 25mila euro” dice Silvia, ” Del resto, Manlio Cerroni, con la discarica di Malagrotta e con i rifiuti è diventato miliardario… Noi invece il Pil di Roma continuiamo a buttarlo nel secchio. Senza capire che è la nostra ricchezza”.