Perché: non si possono riciclare grandi flussi di rifiuti come ad esempio le macerie degli edifici o gli pneumatici a fine vita, non si possono ottenere materie prime critiche dai rifiuti tecnologici (RAEE), non si possono riutilizzare i residui di molteplici processi industriali… Perché le attività delle imprese di riciclo sono a rischio fermo e il sistema virtuoso del riciclo rifiuti rischia di essere bloccato con enormi danni ambientali ed economici.
Le aziende italiane del riciclo trattano 56,5 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno (escludendo i rifiuti da costruzione e demolizione), pari al 49% di tutti i rifiuti gestiti in Italia. Il valore aggiunto generato dall’industria del riciclo ammonta a più di 12,6 miliardi di Euro e, con le 7.200 unità locali operative, garantisce 135.000 posti di lavoro, riducendo il consumo di materie prime nonché il ricorso a discariche ed inceneritori*.
Riciclare significa trasformare un rifiuto in una risorsa (materia prima, sostanza o prodotto) ed è alla base dell’economia circolare. Per riciclare occorre sapere quando, a quali condizioni e per fare cosa un rifiuto cessa di essere tale (end of waste).
Poiché i rifiuti sono un tema sensibile, di interesse pubblico, l’end of waste non può essere deciso dal riciclatore, ma deve giustamente essere stabilito dall’autorità.
Tuttavia ad oggi solo per vetro, metalli, combustibile da rifiuti e fresato d’asfalto sono state decise le regole europee o nazionali che consentono la trasformazione da rifiuto a risorsa.
Per le altre tipologie di rifiuto, restano due sole altre alternative:
- o i riciclatori hanno la “fortuna” di poter ricorrere, provvisoriamente, ad un decreto che risale al 1998 ed è stato aggiornato una sola volta, e che risulta quindi incompleto o quanto meno obsoleto (perché non comprende tutti i rifiuti, tutti i processi di riciclo in linea con le moderne tecnologie e tutte le possibili risorse ottenibili dai rifiuti)
- o gli impianti di riciclo devono ottenere una specifica autorizzazione rilasciata “caso per caso” dalle autorità territoriali competenti (Regione o Provincia delegata), al termine di lunghe, onerose e doverose procedure in cui si valutano gli impatti ambientali complessivi.
Purtroppo, una sentenza del Consiglio di Stato di febbraio scorso ha reso di fatto inattuabile il secondo tipo di procedura, causando il blocco graduale di centinaia di impianti.
È certamente auspicabile poter disporre di decreti End of Waste a livello nazionale per ogni filiera di riciclo, ma ciò è reso difficile sia dalla grande quantità di filiere esistenti, sia dalla costante evoluzione dei prodotti di partenza, che cambiano frequentemente il mix di materie prime con le quali sono fabbricati, sia dalla necessità di adeguare continuamente gli impianti e i materiali riciclati alle tecnologie innovative e alle richieste del mercato.
Alla luce di queste semplici e chiare considerazioni chiediamo a Governo e Parlamento una modifica Testo unico ambientale (D.lgs. 152 del 2006) che, in assenza degli auspicati decreti, consenta alle autorità territoriali di rinnovare a scadenza le autorizzazioni esistenti e di rilasciarne di nuove.
Senza questa modifica legislativa, centinaia di impianti autorizzati, che da anni con la loro attività garantiscono le essenziali lavorazioni che consentono all’Italia di raggiungere i risultati straordinari che ci rendono leader europei del riciclo, saranno costretti a chiudere con grave danno per l’ambiente e la perdita di migliaia di posti di lavoro.
*Fonte: Rapporto “L’Italia del riciclo 2017” – dati Ecocerved derivanti da elaborazione MUD 2016