Sul fronte dell’aria che respiriamo, il 2017 è stato un anno da codice rosso. E il richiamo da parte di Bruxelles, che il 30 gennaio ha convocato l’Italia con altri 7 Paesi a rischio procedura di infrazione, ne è l’inevitabile conseguenza. Ma se le sanzioni europee fanno paura alla politica, quelli che più dovrebbero far preoccupare sono i costi per la salute e gli ecosistemi, puntualmente denunciati dall’annuale Rapporto Mal’Aria di Legambiente. Secondo le statistiche dell’Agenzia Ambientale Europea (EEA), riportate dall’associazione, le morti premature attribuibili all’inquinamento atmosferico in Italia solo oltre 60mila all’anno. A cui si aggiungono costi sanitari stimati, secondo un calcolo del 2010, fra i 47 e 142 miliardi di euro.
PM10, la maglia nera alla pianura padana
I dati raccolti da Legambiente, monitorando le rilevazioni delle Arpa regionali e dell’Ispra, hanno consentito di fare il punto sull’aria che tira nelle principali città italiane. Nel 2017, si legge nel rapporto, “in ben 39 capoluoghi di provincia italiani è stato superato, almeno in una stazione ufficiale di monitoraggio di tipo urbano, il limite annuale di 35 giorni per le polveri sottili con una media giornaliera superiore a 50 microgrammi/metro cubo”. La maglia nera, manco a dirlo, la mantengono saldamente i capoluoghi della Pianura Padana, dove ben cinque città hanno oltrepassato la soglia dei 100 giorni di smog oltre i limiti: Torino guida la classifica con il record negativo di 112 giorni, seguita da Cremona (105), Alessandria (103), Padova (102) e Pavia (101). Molto vicine alla fatidica soglia arrivano anche Milano e Venezia.
Passando poi a un confronto con le medie europee, la penisola non ne esce affatto bene. Basandosi sull’ultimo report del 2016 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Legambiente ha confrontato le medie annuali di Pm10 di 20 grandi città in Italia, Spagna, Germania, Francia e Regno Unito. “I valori peggiori relativi alla concentrazione media annuale di polveri sottili (Pm10) si registrano proprio in Italia: a Torino (39 microgrammi/metrocubo), Milano (37) e Napoli (35), che primeggiano sulle sorelle europee come Siviglia, Marsiglia e Nizza, dove invece si registra una concentrazione media annuale di Pm10 di 29 microgrammi/mc. Roma si piazza, insieme a Parigi, al settimo posto con una concentrazione media annua di 28 microgrammi/mc, seguono gli altri centri urbani europei con valori di gran lunga più bassi”.
Riscaldamenti e polveri sottili: un aiuto da gas naturali e Gpl
Servono insomma nuove misure, e più efficaci, per migliorare la qualità dell’aria, e non solo perché le chiede l’Europa. Non sporadici blocchi del traffico, ma piani strutturali, che intervengano certo sulla mobilità, ma anche sulla riqualificazione edilizia e sui sistemi di riscaldamento. È un fatto, e lo ribadisce anche il Rapporto Mal’Aria 2018, che, malgrado sia innegabile il peso del traffico automobilistico nelle grandi aree urbane, la percentuale maggiore (63%) di Pm10 a livello nazionale è prodotta da combustione non industriale: ovvero, perlopiù, dai riscaldamenti. Nella fattispecie, è il settore residenziale ad essere sotto accusa: secondo i dati raccolti dall’Ispra nel 2016, oltre il 50% del Pm10 e del monossido di carbonio emessi annualmente in Italia derivano dalle abitazioni.
Che fare allora? Per Legambiente, oltre che su una riconversione sostenibile della mobilità, bisogna puntare sulla riqualificazione di edifici pubblici e privati, che dovrebbero riscaldare senza inquinare, e sul rafforzamento dei controlli sulle emissioni, non solo delle auto, ma anche delle caldaie. Emissioni che dipendono sia dalle tecnologie degli impianti di riscaldamento (ma sul mercato ce ne sono di sempre più efficienti e pulite), che dalla tipologia di combustibile utilizzato.
Su quest’ultimo punto, il presidente di Assogasliquidi-Federchimica Francesco Franchi, ha inviato una lettera aperta al Ministro dell’Ambiente per chiedere di “puntare su Gpl e gas naturale per il settore del riscaldamento domestico e della mobilità, come valido aiuto per rispettare gli impegni assunti a livello comunitario in materia di qualità dell’aria”. Franchi fa riferimento a un recente studio sulle emissioni da riscaldamento domestico condotto dalla divisione Combustibili di Innovhub SSI, azienda speciale della Camera di Commercio di Milano, che ha messo a confronto i vari combustibili impiegati: gpl, gas naturale, gasolio, pellet e legna. Se le biomasse legnose sono considerate ecologicamente virtuose per la riduzione dei gas serra (la CO2 emessa durante la combustione è compensata da quella assorbita dalle piante durante la crescita), quando si parla di polveri sottili (Pm10, Pm 2,5) e di altri composti classificati come tossici o cancerogeni (gli idrocarburi policiclici aromatici o IPA e il benzo[a]pirene soprattutto), la combustione di materiali lignei e cellulosici risulta la principale fonte non industriale di questi inquinanti, con emissioni che, secondo Innovhub, possono essere fino a 1000 volte superiori rispetto agli apparecchi a gas.
Per questo, nella transizione verso la decarbonizzazione, Gpl e gas naturali sono considerati oggi l’alternativa più valida, come fonti a minori emissioni climalteranti e più pulite. A questo proposito, Liquigas, primo operatore italiano nella distribuzione di questi due combustibili, ha raccolto nel 2015 i dati sul passaggio dei propri utenti da olio combustibile (Btz) e gasolio a Gpl e Gnl, evidenziando importanti miglioramenti sia sul fronte della CO2 che su quello del Pm10. Per quest’ultimo si parla addirittura “per il Gpl di riduzioni del 44,4% rispetto al gasolio e del 96,6% rispetto al Btz; per il Gnl i risultati sono ancora migliori con una riduzione delle emissioni del 94,4% rispetto al gasolio e del 99,7% rispetto al Btz”.