Ogni volta è il record negativo: l’anno più caldo di sempre, quello meno piovoso, quello con più anidride carbonica nell’atmosfera o con meno ghiaccio nell’Artico. E certamente non conforta sapere che nonostante gli impegni e gli investimenti in tecnologie di decarbonizzazione decisi a livello globale, allo stato il pianeta è in rotta per un aumento della temperatura media di circa 3 gradi centigradi a fine secolo. Non è dunque un caso se gli scienziati pensano di affiancare alla inevitabile riduzione delle emissioni di CO2 le cosiddette «emissioni negative». Ovvero, soluzioni per rimuovere su larga scala dall’atmosfera l’anidride carbonica già emessa.
Tradizionalmente gli ambientalisti vedono con sospetto questo tipo di risposte al problema del riscaldamento globale. Il timore è che divengano una scusa per continuare a inquinare impunemente. Ma guardando freddamente ai numeri, è ormai chiaro che sarà difficile fare a meno di una strategia di «emissioni negative». Come spiega Ottmar Edenhofer, dell’autorevole Pik di Potsdam e membro dell’Ipcc, «la possibilità di centrare gli obiettivi di Parigi dipenderà moltissimo da quanto potremo fare in tema di emissioni negative».
Per definizione la più efficiente «macchina» per assorbire CO2 dall’aria e fissarla è anche quella meno costosa e più facile da realizzare: si tratta dei comunissimi alberi. Riforestare – ma anche ricostruire le zone umide costiere, le torbiere e le praterie, grandi assorbitrici di anidride carbonica – è e sarà dunque la strada maestra e più «naturale». Ma aziende e scienziati scommettono su nuove tecnologie per «succhiare» direttamente dall’aria l’anidride carbonica attraverso un procedimento chiamato Direct Air Capture (Dac).
La Dac sembra una soluzione fantascientifica, ma in realtà già funzionano almeno tre sistemi in grado di assorbire il più diffuso dei gas serra dall’aria. Sistemi per adesso sperimentali, di piccolissime dimensioni, oltre che non ancora economicamente sostenibili, visto che per eliminare una sola tonnellata di CO2 bisogna spendere 600 dollari. C’è quello degli svizzeri della Climeworks, quello dei canadesi di Carbon Engineering, e quello degli americani di Global Thermostat. Fondamentalmente agiscono tutti sulla base dello stesso principio: attraverso grandi sistemi di ventole aspiranti l’aria viene fatta passare attraverso uno speciale filtro, che assorbe e «blocca» la CO2. Che poi può essere «stabilizzata», o trasformata in carburante o fertilizzanti.
Per adesso il progetto di Climeworks sembra quello più avanti. In un paesino vicino Zurigo, nei pressi di un inceneritore, dallo scorso maggio funziona una «centrale negativa» in grado di succhiare via 1.000 tonnellate di CO2 l’anno, per adesso utilizzate in una serra vicina. È poca cosa: equivale alle emissioni annue di 20 famiglie americane. Più interessante è il nuovo impianto aperto da ottobre vicino una centrale geotermica in Islanda, a 25 chilometri da Reykjavik. Qui già era in corso una sperimentazione per «mineralizzare» l’anidride carbonica, iniettandola insieme ad acqua in rocce basaltiche a 700 metri di profondità. E qui Climeworks ha costruito un impianto che spedisce sottoterra la CO2 filtrata dal sistema. Col vantaggio di adoperare energia elettrica da fonti rinnovabili.
Anche in questo caso si tratta di una struttura piccola (50 tonnellate l’anno) e molto costosa. Eppure Jan Wurzbacher, direttore di Climeworks, è convinto di poter abbattere in modo drastico i costi fino a 100 dollari per tonnellata di CO2 assorbita, visto che la tecnologia è modulare e facilmente scalabile. L’obiettivo, davvero ambizioso, è quello di catturare entro il 2025 l’1% delle emissioni annue globali di CO2. Servirebbero però almeno 750mila unità tipo quella in funzione a Zurigo.
Sulla stessa linea si pone Carbon Engineering, che ha sviluppato un impianto sperimentale a Squamish, nella British Columbia, che a partire dalla CO2 genera carburante; Peter Eisenberger, cofondatore di Global Thermostat, giura di poter scendere addirittura fino a 50 dollari. Anche così, però, rimuovere un quarto delle emissioni mondiali annue di anidride carbonica costerebbe 500 miliardi l’anno. Insomma, una tecnologia promettente, ma c’è molto da lavorare. Forse non ne potremo fare a meno. Intanto, piantiamo alberi.