Nella stagione più piovosa dell’anno i grandi laghi italiani sono al minimo storico. Il bacino del lago Maggiore è pieno solo per il 6.5% della capacità di invaso: nell’ultimo decennio era arrivato a contenere 420 milioni di metri cubi di acqua, oggi ne ha 27 milioni. Anche il lago di Como è al 6.5% del potenziale di raccolta, mentre quello d’Iseo è al 10.7% e quello di Garda al 26.4%. I dati vengono dall’Anbi (Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue) e sottolineano il cambiamento strutturale del ciclo idrico: le piogge, sempre più intense e concentrate in brevi periodi, non bastano a ricaricare i bacini di raccolta.
Lunedì scorso il Cnr aveva lanciato l’allarme: il 2017 è stato l’anno più secco in Italia dal 1800, con piogge oltre il 30% inferiori alla media del periodo di riferimento 1971-2000. Gli incendi hanno distrutto 141 mila ettari di bosco. La Regione Piemonte ha revocato solo il 5 dicembre uno stato di massima pericolosità per i roghi che è durato quasi due mesi. La Toscana ha chiesto la dichiarazione di stato di calamità per la siccità, per ottenere il risarcimento per danni superiori al 30 per cento rispetto alla media degli ultimi tre anni.
“E’ indispensabile”, propone Massimo Gargano, direttore dell’Anbi, “avviare subito il piano nazionale invasi, cui la Legge di stabilità destina 50 milioni all’anno per un quinquennio: meno di quello che serve, ma un primo passo. Attualmente conserviamo solo l’11% dei circa 300 miliardi di metri cubi di pioggia che annualmente cadono sull’Italia. Il deficit idrico, che si registra da mesi in molte regioni italiane, dal Nord al Sud, dimostra la necessità di creare riserve d’acqua per i momenti di bisogno”. E’ la scelta fatta anche dalla Regione Lombardia con il piano che prevede la trasformazione di cave dismesse in invasi idrici.
Si tratta di affrontare le conseguenze del caos climatico. Il taglio delle emissioni serra deciso alla conferenza di Parigi del 2015 dovrebbe ridurre l’aumento del rischio. Ma intanto occorre far fronte agli squilibri già in atto. Così, in attesa del piano nazionale di adattamento climatico, i settori produttivi più direttamente minacciati cominciano a muoversi.
Un comparto che da qualche anno sta subendo una flessione preoccupante è l’idroelettrico: un punto di forza dell’energia pulita che, in mancanza di correzioni di rotta, potrebbe ridurre l’apporto previsto dal complesso delle fonti rinnovabili. Poi c’è l’agricoltura, responsabile del 70% dei consumi idrici, per cui sono previsti interventi in due direzioni. La prima è stata ricordata dal ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina che ha sollecitato “investimenti pubblici e privati per ammodernare la rete di distribuzione e per accelerare l’adozione di innovazioni sul fronte dell’agricoltura. Noi abbiamo avviato un primo piano da 700 milioni di euro”.
L’altra è l’aumento del numero di campi coltivati in modo da ridurre il fabbisogno idrico. “Utilizzando metodi biologi e biodinamici accresciamo la quantità di humus e quindi la capacità del terreno di assorbire più acqua rilasciandola lentamente”, racconta Anito Bonadio, direttore dell’azienda agricola biodinamica San Michele delle Terre di Ecor, a Cortellazzo (Venezia). “Inoltre stiamo realizzando la costruzione di un invaso impermeabilizzato in grado di conservare una riserva di 24 mila metri cubi di acqua: quanto basta per fornire irrigazione di emergenza ai nostri campi per almeno sette volte. Così riusciremo a dimezzare il rischio siccità”.