L’indagine dei ricercatori CNR IRPI Fabio Luino e Laura Turconi ha censito tutti i 2125 eventi registrati dal 2005 al 2016. Il Piemonte è in testa alla classifica, davanti alla Lombardia. Ma la Liguria registra il maggior numero di disastri per chilometro quadrato
Dal 1970, anno della sua fondazione, l’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica di Torino (I.R.P.I.) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha ricercato, raccolto e classificato preziosi dati pregressi su alluvioni e frane nel Nord Italia, contenute in documenti pubblicati e inediti redatti dall’inizio del 1800, talora anche nei secoli precedenti. Nell’ottica di continuare questa tradizione e d’integrare i dati d’archivio, due ricercatori, Fabio Luino e Laura Turconi, con l’aiuto di alcuni giovani geologi, hanno ultimato un’analisi degli eventi avvenuti in 12 anni, dal 2005 al 2016. Riunendo decine di migliaia di notizie tratte da diversi studi del CNR IRPI, pubblicazioni scientifiche, relazioni redatte da Enti territoriali e da notizie di giornali, gli Autori hanno composto un volume di oltre 500 pagine e 800 immagini: in esso sono elencati e descritti gli eventi alluvionali che hanno provocato vittime e danni, supportati da migliaia di dati su piogge, portate dei corsi d’acqua, comuni coinvolti, e così via.
Le regioni più colpite
Al termine della selezione e validazione dei dati si sono ottenuti 2.125 informazioni censite e importate sulla cartografia. La loro distribuzione ha messo in evidenza come il Piemonte sia stata la regione maggiormente colpita (513 casi, 24% del totale), seguita dalla Liguria (19%, con 413 casi) e dalla Lombardia. Questo dato, è doveroso sottolinearlo, potrebbe essere stato parzialmente influenzato dalla ricchezza dei dati a disposizione, ma è pur certo che i due gravi eventi piemontesi del maggio 2008 e del novembre 2016 hanno incrementato notevolmente il numero dei record.
Rapportando però il numero delle informazioni censite per la superficie di ogni singola regione, la Liguria risulta quella più frequentemente citata con un record ogni 13 chilometri quadrati, seguita dal Friuli-Venezia Giulia con uno ogni 42 kmq. La Liguria, d’altronde, è stata la regione che, nel lasso di tempo esaminato, ha subito tre eventi molto gravi: quello dell’ottobre 2010 a Genova e Varazze, dell’ottobre 2011 alle Cinque Terre e del novembre 2014 a Genova.
Vittime e danni
Le inondazioni e le frane esaminate hanno coinvolto, spesso gravemente, persone, strutture ed infrastrutture. Nell’arco dei 12 anni considerati le vittime sono state 77 di cui 54 per inondazioni di fiumi e torrenti e 23 per frane (di cui una per valanga). Per la prima tipologia sono stati determinanti alcuni eventi, primo fra tutti quello del 25 ottobre 2011 nelle Cinque Terre, ove persero la vita 13 persone (11 in Liguria e 2 in Toscana). Pesante fu anche il tributo che pagò Genova il 4 novembre 2011 con 6 vittime.
Il 2011 è risultato di gran lunga l’anno più luttuoso con 22 decessi, 20 dei quali per alluvioni torrentizie molto violente e 2 per modesti crolli lapidei che colpirono due automobili in transito.
Per ciò che riguarda i corsi d’acqua (fiumi e torrenti), un ruolo importante lo hanno avuto le colate detritiche lungo i torrenti alpini con 13 vittime in 6 eventi distinti. Il più gravoso in termini di vite umane è stato quello avvenuto a Villar Pellice (TO), nel maggio 2008.
Per ciò che concerne, invece, l’ambito di versante, le sole frane hanno causato in totale 22 vittime, 9 delle quali per la modesta frana superficiale che il 12 aprile 2010 colpì un treno in transito in provincia di Bolzano.
Le vittime sono state registrate per il 32,5% in Liguria, che, come accennato in precedenza, ha subìto alcuni eventi particolarmente gravosi: 23 sono state le persone decedute per dinamica fluvio-torrentizia e 2 per dinamica dei versanti. Al secondo posto troviamo il Trentino-Alto Adige con 14 vittime (18,2%), una sola delle quali nella provincia di Trento.
I fenomeni d’instabilità naturale hanno coinvolto nel 68% dei record censiti le infrastrutture (di cui il 5% riferito al coinvolgimento di ponti e/o attraversamenti della rete idrografica): strade statali, regionali, provinciali e comunali sono state molte volte ricoperte di detrito (esondazioni fluviali e/o torrentizie, colate detritiche, frane superficiali, crolli), altre sono state parzialmente o totalmente asportate (frane complesse di piccole/grandi dimensioni); a queste situazioni si aggiungono quelle connesse ai sottopassi, spesso posti in area di esondazione o di potenziale allagamento urbano legato al reticolo idrografico secondario e/o alle canalizzazioni minori. Sono diversi i casi in cui tali manufatti hanno contribuito ad aumentare il numero di vittime intrappolate nelle loro auto. Il danno lungo la viabilità primaria e secondaria in alcuni casi è stato grave e non è stato sufficiente l’intervento delle ruspe per ripristinare il transito. D’altronde le strade si sviluppano per migliaia di chilometri a mezzacosta, sovente a fianco di corsi d’acqua, in una sorta di reciproca interferenza. Spesso sono state colpite anche le strutture, vale a dire case di civile abitazione, edifici pubblici, attività commerciali ed industriali (32% dei record).
Gli edifici hanno occupato anno dopo anno le superfici rimaste ancora disponibili. L’espansione dei centri urbani è avvenuta, in particolar modo a partire dalla metà degli anni ’50 del XX secolo, senza tenere nella dovuta considerazione il rischio connesso alla presenza di corsi d’acqua o di pareti rocciose. Sfogliando il volume si possono vedere numerosi esempi di danni che si sarebbero potuti evitare se l’urbanizzazione fosse avvenuta con maggiore rispetto del contesto morfologico naturale, unitamente ad una oculata pianificazione territoriale, e se questa non fosse stata dettata, invece, dalla speculazione e dal profitto da parte di alcuni a scapito dell’intera comunità.