Riparare, ripristinare e restituire ai territori i siti contaminati. Le attività di bonifica in Italia possono essere un’opportunità di recupero di vaste aree da destinare allo sviluppo, alla reindustrializzazione, alla tutela del paesaggio in un’ottica di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Il tema è stato al centro del convegno organizzato a Roma da Syndial (Eni) ‘Le attività di bonifica in Italia. Un percorso comune pubblico e privato verso la sostenibilità’.
“Syndial è la società di Eni attiva nel settore del risanamento ambientale, delle bonifiche e della gestione dei rifiuti ed è di fatto il primo operatore nazionale nel settore delle bonifiche“, spiega l’ad Syndial Vincenzo Maria Larocca. “Noi abbiamo fatto bonifiche per circa tre miliardi finora e abbiamo uno spending più o meno comparabile in previsione; per l’85% interveniamo su aree che sono state contaminate da terzi: noi siamo il risanatore e non l’inquinatore“, continua.
“Adesso si sta aprendo nel nostro Paese una nuova stagione di cooperazione tra il privato e l’ente pubblico per bonifiche efficienti, sostenibili, valorizzazione delle aree industriali che sono già state compromesse e il loro reimpiego e riutilizzo“, sottolinea. Per agevolare questo percorso, continua Larocca, “serve una semplificazione delle procedure e degli iter autorizzativi. Quello che un po’ limita i tempi per i nostri interventi è la burocrazia e il livello, la pluralità e la molteplicità di autorizzazioni che dobbiamo richiedere“.
Recuperare spazi vuol dire agire sul fronte del consumo di suolo ma può rappresentare anche un nuovo motore di crescita. “Noi abbiamo 4.000 ettari di proprietà e buona parte di questi terreni possono essere riutilizzati sia da noi come Eni per attività di energia sostenibile e rinnovabile, un progetto su cui siamo fortemente impegnati, sia tornare a disposizione dell’economia del Paese per attività di reimpiego e reindustrializzazione“, spiega Larocca aggiungendo che Syndial è attiva sia in diversi Siti di interesse nazionale e regionale oltre che in numerosi cantieri più piccoli.
Laura D’Aprile, dirigente della Direzione Salvaguardia del Territorio e delle Acque del ministero dell’Ambiente, fa il punto sullo stato delle bonifiche dei Sin, siti di interesse nazionale. “Sulle bonifiche in Italia in questi anni si è fatto molto sia sotto il profilo tecnico che sotto il profilo amministrativo. Ad oggi abbiamo 40 Siti di interesse nazionale perimetrati; sono state restituite agli utilizzi un numero consistente di ettari inclusi all’interno dei siti di interesse nazionale: parliamo ormai di oltre 9mila ettari di territorio per i quali è stato concluso il procedimento. Siamo andati avanti con i procedimenti di bonifica di molti Siti di interesse nazionale sui quali le attività hanno avuto vicende alterne sia per carenza di risorse pubbliche per gli interventi di competenza pubblica che per intervalli di attivazione da parte dei soggetti privati“, spiega D’Aprile.
“Quello che abbiamo fatto noi come commissione e che stiamo concludendo così come avevamo fatto nella scorsa legislatura è andare a verificare soprattutto nei Siti di interesse nazionale quali erano le situazioni che non hanno permesso un normale decorso di un’attività di messa in sicurezza e di bonifica per cercare non solo di denunciarle ma soprattutto di trovare delle soluzioni“, spiega Alessandro Bratti, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti. “Mi sembra che rispetto a qualche anno fa si vedano più cantieri e meno contenziosi giuridici quindi questo fa ben sperare in uno sblocco di un sistema che è molto complesso“, osserva.
“Fondamentale” in questa direzione la collaborazione tra pubblico e privato. “Quando non c’è un interlocutore privato con cui allacciare un rapporto, per vedere in modo costruttivo come recuperare questi territori o come intervenire, le situazioni non si risolvono mai. Sono siti cosiddetti ‘orfani’ che quasi sempre gravano sulle spalle del pubblico, che originano contenziosi infiniti con compagini aziendali che non esistono più. Quando ci sono invece interlocutori attivi, come tantissime aree ex petrolchimiche, trovando i giusti canali per collaborare si riesce ad attivare percorsi molto virtuosi. Per cui non c’è dubbio che le collaborazioni pubblico-privato vanno assolutamente incentivate“, spiega Bratti.
Per gli ambientalisti il bilancio è tra luci e ombre. “Noi nel 2014 denunciavamo ancora un forte ritardo nelle bonifiche. A distanza di qualche anno qualche passo avanti è stato fatto, il ministero dell’Ambiente ha velocizzato l’iter di alcuni siti, però ancora manca molto – spiega il responsabile scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti – Ritardi che portano costi ambientali molto elevati sui territori, costi sanitari molto elevati e che non consentono ancora oggi di poter ripensare quei territori con uno sviluppo diverso“.
“In questo contesto alcuni importanti risultati sono stati però ottenuti. Noi nel 2014 chiedevamo con forza due strumenti per aiutare il lavoro di bonifica: lo strumento degli ecoreati nel codice penale per punire tutte le illegalità che ancora oggi convivono spesso con le operazioni di bonifica e poi chiedevamo un sistema nazionale di controlli ambientali più forte e anche questa legge è stata approvata e oggi sicuramente abbiamo degli strumenti in più – conclude – Quello che manca però è un coordinamento efficace ed efficiente tra chi deve bonificare, le amministrazioni a livello locale e nazionale per riuscire a mettere in campo un’azione veloce ed efficace su questo fronte“.