Grazie uno studio delle università di Milano e Napoli sono state sperimentate strategie di bioconversione delle plastiche attraverso geni di batteri che risiedono nell’intestino della mosca soldato nera (Hermetia illucens).
Le larve sono state oggetto di numerose ricerche e si presentano come una soluzione ottimale, dato che possono crescere su una vasta gamma di rifiuti organici, scarti e sottoprodotti provenienti dal settore agroalimentare.
Un recente studio condotto in collaborazione tra l’Università degli Studi di Milano, l’Università degli Studi di Napoli Federico II e l’Università degli Studi dell’Insubria ha rivelato una notevole scoperta riguardo alle larve di mosca soldato nera (Hermetia illucens) e il loro potenziale nell’affrontare la problematica della plastica. Le larve di questa particolare specie di mosca sembrano essere strumenti promettenti per lo sviluppo di strategie di bioconversione delle plastiche, grazie ai geni di batteri che risiedono nel loro intestino. “Questi insetti possono crescere su un’ampia varietà di rifiuti organici, scarti e sottoprodotti della filiera agroalimentare, i quali vengono così “biotrasformati” in molecole di grande valore per diversi settori.
Nello studio, le larve di Hermetia illucens sono state allevate su polietilene e polistirene e la loro capacità di degradare questi polimeri, dimostrata con spettroscopia NMR e microscopia elettronica a scansione, è il risultato di specifiche funzioni possedute dai batteri che risiedono nel loro intestino.
Dall’analisi del microbioma intestinale, ossia l’insieme del patrimonio genetico della comunità microbica che risiede nel lume dell’intestino, sono stati ricostruiti circa 1.000 genomi parziali di specie batteriche sconosciute ed è stato possibile individuare diversi geni potenzialmente coinvolti nell’attività di degradazione delle plastiche, come laccasi e perossidasi.
Questi materiali vengono trasformati in molecole di grande valore per diversi settori, aprendo la strada a una serie di applicazioni sostenibili. Tra le risorse che possono essere estratte da larve e pupe, troviamo farine per la mangimistica, proteine per la produzione di bioplastiche e biomateriali utili in campo biomedicale, oli per la produzione di biocarburanti e, ancora, chitina e peptidi antimicrobici” spiega la professoressa Morena Casartelli, responsabile del laboratorio di Fisiologia degli insetti e biotecnologie entomologiche del Dipartimento di Bioscienze della Statale di Milano, che negli ultimi anni ha studiato diversi aspetti della biologia e della fisiologia intestinale di queste larve.
“Questo lavoro dimostra inequivocabilmente che le larve di H. illucens possono essere utilizzate come “bioincubatori” per selezionare non solo consorzi di microorganismi “plasticolitici” ma anche geni che codificano per enzimi in grado di degradare le plastiche che possono essere espressi in forma ricombinante ed evoluti per ottimizzarne la potenzialità biotecnologica” spiega la professoressa Silvia Caccia dello stesso gruppo di ricerca dell’Università degli Studi di Milano.
“Questo approccio si è dimostrato cruciale per lo sviluppo di strategie di bioconversione per altre plastiche, tra cui il polietilene tereftalato, comunemente utilizzato nelle bottiglie di bevande – conclude Danilo Ercolini, docente di Microbiologia agraria e Direttore del Dipartimento di Agraria della Federico II – Inoltre, questa ricerca sottolinea l’importanza del microbioma intestinale non solo per gli organismi inferiori ma anche per quelli superiori. Questo ecosistema non ha limiti, ha il potenziale di contribuire su diversi aspetti alla salute dell’organismo ospite, ma, come dimostra questo studio, anche all’adattabilità dell’ospite ad ambienti particolari e quindi all’erogazione di servizi importanti per le biotecnologie e per l’ambiente”.