Il 4° Rapporto sull’economia circolare in Italia, pubblicato da Circular Economy Network, fa il punto della situazione che nel 2022 sta segnando le sorti geopolitiche ed economiche europee. Gli eventi drammatici degli ultimi anni (l’aggravarsi della crisi climatica, la pandemia, l’invasione dell’Ucraina) hanno fatto schizzare in alto i costi delle materie prime. C’è più che mai bisogno di economia circolare. Ma l’Unione Europea e l’Italia stanno accelerando in questa direzione?
A livello globale l’economia circolare non progredisce, rallenta: il consumo di materie prime aumenta spaventosamente. In questo contesto – segnato anche da drammatiche tensioni internazionali – l’Italia tiene e si conferma tra i Paesi più virtuosi, ma è ancora lontana dall’obiettivo di disaccoppiare crescita e consumo di risorse.
LE RAGIONI DELLA CRISI
Il Rapporto 2022 del CEN arriva in un momento particolare. Drammatico per gli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi due anni e che continuano a tenerci con il fiato sospeso ancora nei giorni in cui stiamo chiudendo questo lavoro di analisi. La gravità dei fatti accaduti – prima la pandemia, poi l’invasione dell’Ucraina – hanno avuto pesanti contraccolpi economici.
Le cronache ci mostrano che siamo di fronte a un rialzo dei prezzi di diverse materie prime – e per alcune di queste materie anche a difficoltà e ritardi nelle forniture – che hanno causato rilevanti ostacoli alle attività di non poche imprese. E certamente i problemi creati dal Covid-19 e dalla drammatica crisi ucraina sono una causa importante di questa situazione. Importante ma non esclusiva: questo è il punto che molti governi hanno mancato di sottolineare.
Le difficoltà economiche che viviamo non sono solo legate alla congiuntura: rappresentano anche l’indicatore di una tendenza di fondo, strutturale, da non sottovalutare in un contesto di sviluppo globalizzato caratterizzato da una domanda crescente di materiali disponibili in quantità fisicamente limitate sul nostro Pianeta. La dinamica degli eventi economici lo prova. Passato il momento più acuto della pandemia, l’economia globale ha provato a ripartire seguendo la vecchia logica lineare. Così il picco improvviso di richieste di materia ha innervosito i mercati, ha creato incertezza, ha spinto gli operatori a cercare di accumulare scorte. Si è creato un circolo vizioso tra la domanda inevasa e la crescita di nuova domanda: la mancanza delle forniture ha spinto ad aumentare le richieste rendendo sempre più ampia la distanza tra domanda e offerta. Il risultato, a fronte di un sistema estrattivo che in molti casi è già andato oltre il limite fisico dettato dalla necessità di tenuta degli ecosistemi, è stato la difficoltà di rifornimento che ha innescato una spirale inflattiva.
Dunque il problema che ha caratterizzato la crescita del 2021 non è stata la quantità ma la qualità. I numeri contenuti in questo Rapporto mostrano come le maggiori difficoltà dell’economia italiana (e non solo) siano legate a politiche che hanno sottovalutato le potenzialità e la necessità strategica di un robusto rafforzamento del Paese nel campo dell’economia circolare. Nel 2021 il rimbalzo dell’economia è stato molto più positivo delle aspettative, con una crescita del PIL italiano del 6,6% rispetto al 2020. Ma, inserita nel vecchio modello di economia lineare, questa crescita è andata a sbattere contro il muro della carenza di materie prime.
In buona sostanza quello che è mancato è stato il disaccoppiamento tra crescita del PIL e uso di materie prime. Uno slancio consistente e tecnologicamente maturo in direzione dell’economia circolare avrebbe potuto creare un secondo, ampio mercato per le materie necessarie alla ripresa; evitando la crisi che stiamo vivendo e che rischia di protrarsi. Ma questo slancio non c’è stato.
Per questo oggi è importante sottolineare l’importanza del disaccoppiamento della crescita economica dal consumo delle materie prime vergini, che è l’obiettivo strategico dell’economia circolare e del Green Deal europeo. La conversione verso modelli di produzione e di consumo circolari è sempre più una necessità non solo per garantire la sostenibilità dal punto di vista ecologico, ma per la solidità della ripresa economica, la stabilità dello sviluppo e la competitività delle imprese.
Il tasso di circolarità globale scende
Come abbiamo detto il problema non è solo italiano. A livello globale i numeri sono chiari.
Abbiamo sbagliato strada: siamo tornati indietro. Tra il 2018 e il 2020 il tasso di circolarità è sceso dal 9,1 all’8,6% (Circularity Gap Report). Questo andamento negativo dipende dall’aumento dei consumi, che negli ultimi cinque anni sono cresciuti di oltre l’8% (da 92,8 a 100,6 miliardi di tonnellate – Gt), a fronte di un incremento del riutilizzo di appena il 3% (da 8,4 a 8,6 Gt).
Per creare beni e servizi è stato dunque sfondato il muro dei 100 Gt di materie prime consumate in un anno e più della metà di questa enorme massa di materiali è stata impiegata per creare prodotti di breve durata.
Recuperiamo meno del 9% del mare di risorse che ogni anno strappiamo alla Terra. L’uso di materiali sta accelerando a una velocità superiore alla crescita della popolazione: stiamo cioè andando – a livello globale – in direzione opposta a quella indicata dal Green Deal.
Il contributo offerto da questo Rapporto
Questo è il quadro generale. Il Rapporto che leggete parte da queste considerazioni per mettere a fuoco il contributo italiano all’economia circolare: i punti di forza, le debolezze, i possibili correttivi. A che punto siamo nella transizione verso l’economia circolare? Che posizione occupiamo, sotto questo profilo, in Europa? Come possiamo migliorare?
Per rispondere a queste domande abbiamo utilizzato i principi della Carta di Bellagio, la base europea per l’elaborazione di indicatori per misurare la circolarità. Si tratta di un nuovo strumento, approvato nel dicembre del 2020, per valutare l’economia circolare in modo innovativo e maggiormente comunicativo, misurando gli avanzamenti e le interconnessioni tra circolarità e neutralità climatica. Una scelta metodologicamente innovativa che abbiamo ritenuto necessaria per poter dare un contributo migliore al dibattito sulla Strategia nazionale sull’economia circolare che entrerà in vigore nel 2022. Oggi più che mai c’è necessità di partecipazione, di informazione, di comunicazione per alimentare la spinta al salto culturale in direzione dell’innovazione green di cui il Paese ha bisogno.
Per misurare il livello di economia circolare in Italia e fare una comparazione a livello europeo è stato composto un indicatore di sintesi sulla performance di circolarità utilizzando dati Eurostat, ISTAT e ISPRA. Per ciascuno degli indicatori considerati è stata effettuata una comparazione con gli altri principali Paesi europei (Germania, Francia, Spagna e Polonia). E a chiudere il rapporto c’è un’analisi compiuta da ENEA e dalla rete SUN – il network di riferimento per la simbiosi industriale in Italia – sulla simbiosi industriale attraverso una prima indagine campionaria.
L’ITALIA CONTIENE I DANNI
Ecco i principali dati che emergono. Il punto critico, il nodo che resta da sciogliere e che richiede una forte accelerazione delle politiche per la transizione ecologica, è che in Italia non si è riscontrato negli ultimi cinque anni quel disaccoppiamento tra PIL e consumo di materiali che indicherebbe buone performance di circolarità dell’economia. Partendo da un valore pari a 100 per il 2017, troviamo che al 2019 il PIL è a 101 e le importazioni nette di materiali a 99, per allinearsi sostanzialmente nel 2021.
In mezzo, nel 2020, è arrivata la crisi creata dalla pandemia. E ha prodotto una flessione dei consumi di materia prima più o meno accentuata nei vari Paesi. In Europa, durante l’anno, sono state consumate in media circa 13 tonnellate pro capite di materiali. Tra le cinque maggiori economie al centro dell’analisi di questo Rapporto (Italia, Francia, Germania, Polonia, Spagna) le differenze sono consistenti: si va dalle 7,4 tonnellate per abitante dell’Italia alle 17,5 della Polonia. La Germania è a quota 13,4 tonnellate, la Francia a 10,3, la Spagna a 8,1.
Dunque in un contesto che, come abbiamo visto, è negativo sotto il profilo dell’economia circolare, l’Italia è riuscita a contenere i danni e migliorare alcuni indicatori di circolarità meglio di altri Paesi. Inoltre nell’ultimo decennio, anche a causa della delocalizzazione di alcune produzioni, l’Europa ha registrato una diminuzione dell’uso di materie prime e in Italia la riduzione pro capite è stata la maggiore tra i Paesi considerati: il 36%. Segue la Spagna con il 27%. Gli altri tre Paesi analizzati hanno registrato una diminuzione dei consumi per abitante compresa tra il 16 e il 17%.
Positivo per l’Italia anche l’andamento negli ultimi dieci anni della produttività delle risorse. L’aumento medio europeo è del 17%, quello italiano del 42%. Ma – e questo è il filo conduttore di questo Rapporto – i risultati dell’Italia appaiono complessivamente buoni solo se paragonati alla concorrenza. L’obiettivo di mettere in sicurezza il Paese attraverso l’uso intelligente delle risorse (materia ed energia) che abbiamo a disposizione nel territorio nazionale resta drammaticamente lontano. E, quando una seria crisi geopolitica si profila alle porte dell’Europa, questa debolezza risulta drammaticamente evidente.
La crisi imposta dalla pandemia non ha portato saggezza, non ha portato a una riflessione seria sulle cause della fragilità di alcuni aspetti del sistema economico italiano: in particolare energia e materie prime, risorse che ci mettono in uno stato di dipendenza e precarietà da cui potremmo uscire solo con un forte rilancio dell’economia circolare in tutti i suoi aspetti.
Produttività delle risorse
Detto questo, l’Italia ha fatto meglio di altri. Nel 2020 per nessuno dei cinque principali Paesi europei si è registrato un incremento nella produttività delle risorse. In Europa nel 2020, a parità di potere d’acquisto, per ogni kg di risorse consumate sono stati generati 2,1 euro di PIL. L’Italia è arrivata a 3,5 euro di PIL (il 60% in più rispetto alla media UE).
Tasso di utilizzo circolare di materia
Questo andamento viene confermato anche dal tasso di utilizzo circolare di materia, che viene definito come il rapporto tra l’uso circolare di materia e l’uso complessivo (cioè l’uso proveniente da materie prime vergini e da materie riciclate). Nel 2020, ultimo anno disponibile di dati, nell’Unione europea il tasso di utilizzo circolare di materia è stato pari al 12,8%. In Italia il valore ha raggiunto il 21,6%, secondo solamente a quello della Francia (22,2%) e di quasi dieci punti percentuali superiore a quello della Germania (13,4%). La Spagna (11,2%) e la Polonia (9,9%) occupano rispettivamente la quarta e la quinta posizione.
Interessante osservare come per questo specifico indicatore l’Italia si attesti in quarta posizione rispetto a tutti e 27 i Paesi UE, dietro soltanto a Paesi storicamente virtuosi come i Paesi Bassi (30,9%) e il Belgio (23%), oltre che alla Francia come abbiamo detto poco sopra. Inoltre, l’Italia ha conosciuto negli anni un trend di crescita del tasso di utilizzo circolare di materia praticamente continuo, partendo dall’11,6% del 2011 per arrivare al 21,6% del 2020. Da osservare come nell’ultimo anno di analisi in Italia l’incremento sia stato del 2,1%, a fronte di un aumento medio a livello europeo dello 0,8%.
Consumo di energia rinnovabile
Per quanto riguarda la quota di energia rinnovabile utilizzata sul consumo totale lordo di energia, in Europa si è registrato un trend crescente di circa il 5% tra il 2010 e il 2019, arrivando all’ultimo anno di analisi al 19,7%. Tra i cinque Paesi osservati, quello con la quota maggiore di energia rinnovabile sul consumo totale lordo di energia è la Spagna (18,4%), seguita dall’Italia con il 18,2%. Con valori simili alle due economie appena citate, in terza e in quarta posizione si trovano, rispettivamente, Germania (17,4%) e Francia (17,2%). Più staccata rispetto ai Paesi appena elencati si posiziona la Polonia, con una quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo totale lordo pari al 12,2%.
Gestione dei rifiuti e consumo di materiali
Nell’Unione europea la produzione complessiva di rifiuti al 2018 è stata pari a 2,3 miliardi di tonnellate (Gt). In Italia nello stesso anno sono state prodotte 173 milioni di tonnellate (Mt) di rifiuti. La Germania è a 406 Mt, la Francia a 343, la Polonia a 175, la Spagna a 138.
Per l’Europa la percentuale di riciclo di tutti i rifiuti nel 2018 è stata pari al 35% (cioè 822 Mt). La quota rimanente è stata avviata a recupero energetico (130 Mt) o a smaltimento in discarica (970 Mt). In Italia la percentuale di riciclo di tutti i rifiuti ha quasi raggiunto il 68%: è il dato più elevato dell’Unione europea. Cresciuto di 9 punti percentuali tra il 2010 e il 2018 a fronte di una media europea pressoché invariata. La Francia è a +8%, mentre Polonia e Spagna hanno peggiorato le loro prestazioni: rispettivamente -4 e -20 punti percentuali. La Germania è rimasta invariata.
Quanto ai rifiuti speciali (quelli prodotti da industrie e aziende) i dati del 2018 indicano che nell’Unione europea per ogni mille euro di PIL generati sono stati prodotti circa 700 kg di rifiuti speciali. L’Italia è a 380 kg, la Germania a 400, la Spagna a 490. Mentre a superare la media europea troviamo la Polonia con 1.120 kg per mille euro generati e la Francia con 770 kg. Tra le cinque economie osservate l’Italia è quella che al 2018 ha avviato la quota maggiore di rifiuti speciali a riciclo: circa il 75%.
Per quanto riguarda i rifiuti urbani (il 10% dei rifiuti totali generati nell’Unione europea) l’obiettivo di riciclaggio è del 55% al 2025, del 60% al 2030 e del 65% al 2035. Nel 2020 nell’UE27 è stato riciclato il 47,8% dei rifiuti urbani; in Italia il 54,4%. Sempre nel 2020 i rifiuti urbani avviati in discarica in tutta l’UE sono stati il 22,8%. Dopo la Germania (0,7% di smaltimento in discarica), le migliori prestazioni sono quelle di Francia (18,1%) e Italia (20,1%). Ma allargando lo sguardo a tutta l’Europa troviamo che Danimarca, Germania, Finlandia e Svezia arrivano a percentuali inferiori all’1%. Oltre ai Paesi appena menzionati, l’obiettivo del 10% previsto per il 2035 è già stato raggiunto anche da Slovenia (6,7%), Lussemburgo (3,8%), Paesi Bassi (1,4%) e Belgio (1,1%); per il 2020 non è ancora disponibile il dato dell’Austria, che però, già nel 2019, aveva raggiunto una percentuale di smaltimento in discarica pari al 2,2%.
Consumo di suolo ed ecoinnovazione
Sono due temi su cui l’Italia appare in netta difficoltà. Nel 2018 nella UE a 27 Paesi risultava coperto da superficie artificiale il 4,2% del territorio. La Polonia era al 3,6%, la Spagna al 3,7%, la Francia al 5,6%, l’Italia al 7,1%, la Germania al 7,6%.
Riguardo all’ecoinnovazione, nel 2021 l’Italia ha una posizione arretrata. Dal punto di vista degli investimenti, è al 13° posto nell’UE con un indice di 79. I Paesi leader sono Germania (154), Finlandia (143), Svezia (139), Slovenia (133) e Lussemburgo (131). La media europea per questo indicatore è 113. Dal punto di vista dei risultati ottenuti, l’Italia è a quota 102, molto al di sotto della media europea per il 2021 (140). I Paesi leader sono Danimarca (210), Finlandia (194), Svezia (190), Lussemburgo (184) e Germania (177).
Riparazione dei beni
Anche in questo campo le notizie sono negative. Il rapporto analizza tre indicatori: numero di imprese, fatturato e numero di occupati. In Italia nel 2019 oltre 23.000 aziende lavoravano alla riparazione di beni elettronici, ma anche di altri beni personali (vestiario, calzature, orologi, gioielli, mobilia, ecc.). Siamo dietro alla Francia (oltre 33.700 imprese) e alla Spagna (poco più di 28.300). In questo settore abbiamo perso quasi 5.000 aziende (circa il 20%) rispetto al 2010. Anche Polonia e Francia hanno fatto registrare una diminuzione, rispettivamente di 105 e 1.500 aziende. Di segno opposto è il risultato della Spagna (+8.800) e della Germania (+1.700). Spostando l’attenzione sull’occupazione, si riscontra che gli addetti nelle imprese di riparazione operanti in Italia nel 2019 sono stati oltre 12.000, in calo di circa un migliaio rispetto all’anno precedente e diminuiti di circa duemila unità rispetto al 2010, mentre Germania e Spagna impiegano un numero di addetti pari al doppio dell’Italia (il tasso di occupazione è più che doppio in Francia).
LA CLASSIFICA DELLE 5 PRINCIPALI ECONOMIE DELLA UE
La classifica di circolarità nelle principali cinque economie dell’Unione europea è basata su sette indicatori: il tasso di riciclo complessivo dei rifiuti, urbani e speciali; il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo; la produttività delle risorse; il rapporto fra la produzione dei rifiuti e il consumo di materiali; la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo totale lordo di energia; la riparazione; il consumo di suolo.
L’Italia e la Francia sono i Paesi che fanno registrare le migliori performance di circolarità, totalizzando 19 punti ciascuno. In seconda posizione, staccata di tre punti, si attesta la Spagna con 16 punti. Decisamente più contenuto è l’indice di performance di circolarità della Polonia e della Germania che ottengono, rispettivamente 12 e 11 punti.
Trend di circolarità
Interessante è anche osservare il trend di circolarità che permette di capire quale Paese abbia fatto registrare il maggiore incremento nelle proprie performance negli ultimi cinque anni. Gli indicatori presi come riferimento sono quelli utilizzati per la classifica precedente.
L’Italia è in testa per i trend di circolarità delle cinque principali economie europee: ottiene 20 punti e stacca di quattro Germania e Polonia, classificate in seconda posizione. Spagna e Francia hanno totalizzato solo 14 punti.
Raddoppiando l’attuale tasso di circolarità, a livello globale si potrebbero tagliare ben 22,8 miliardi di tonnellate di gas erra. Ecco alcuni esempi che spiegano perché. Per i metalli ferrosi il riciclo comporta un impatto stimato tra il 10 e il 38% rispetto a quello derivante dalla produzione del ferro/acciaio da materie prime vergini e tra il 3,5 e il 20% rispetto a quello generato dalla produzione dell’alluminio da materia prima vergine. La maggior parte delle plastiche è riciclabile e il corretto riciclaggio potrebbe comportare una riduzione fino al 90% delle emissioni rispetto a quelle dovute alla produzione di nuova plastica. Le emissioni del settore delle Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche potrebbe dimezzarsi se aumentasse il riutilizzo. Del resto in Italia i rifiuti di imballaggio avviati a riciclo hanno consentito di evitare il consumo di circa 4,6 Mt di materie prime vergini e l’emissione in atmosfera di 4,4 Mt di CO2eq.
Politiche per l’economia circolare: come migliorare
L’Italia dunque occupa una buona posizione in Europa sul fronte dell’economia circolare, ma le sue perfomance non le consentono al momento di raggiungere gli obiettivi che il quadro economico attuale, con la forte crescita dei prezzi delle materie prime e l’incertezza delle forniture, richiede. Come superare queste difficoltà?
Il nuovo Piano di azione per l’economia circolare, approvato dal Parlamento europeo a febbraio 2021, ha l’obiettivo di accelerare la transizione verso un’economia circolare e rigenerativa, con una particolare attenzione alla progettazione di prodotti sostenibili, alla circolarità nei processi produttivi e nei settori a più alta intensità di risorse e ad alto impatto ambientale (tra cui la plastica, il tessile, le costruzioni, l’elettronica, le produzioni alimentari, le batterie, i veicoli).
Tra le iniziative previste per lo sviluppo della circolarità nei processi produttivi, particolare rilievo hanno quelle riguardanti due campi. Il primo è la progettazione ecocompatibile dei prodotti: ampliando la direttiva sulla progettazione; estendendo i criteri di ecodesign; puntando sulla durabilità e riutilizzabilità dei prodotti, sull’incremento dell’uso di materiali riciclati e sulla limitazione di prodotti monouso. Il secondo è la circolarità dei processi produttivi: agevolando la simbiosi industriale; sviluppando la bioeconomia rigenerativa; promuovendo l’uso delle tecnologie digitali per la tracciabilità delle risorse; incrementando il ricorso alle tecnologie green; supportando la circolarità attraverso la revisione della direttiva sulle emissioni industriali e la definizione delle BAT; promuovendo la circolarità nelle piccole e medie imprese.
Dal punto di vista dei consumi si punta a garantire che i consumatori ricevano informazioni attendibili sulla durata di vita e riparabilità dei prodotti. Si parla di un nuovo “diritto alla riparabilità” per contrastare l’obsolescenza prematura dei prodotti e garantire obiettivi minimi obbligatori in materia di appalti pubblici verdi (GPP).
Il Piano per la transizione ecologica indica tra gli altri i seguenti obiettivi: arrivare entro il 2030 a un tasso di utilizzo circolare dei materiali pari almeno al 30%; ridurre del 50% la produzione di rifiuti entro il 2040. E’ necessario ora dare rapida e piena attuazione alle misure contenute nel PNRR: definire un’efficace Strategia nazionale per l’economia circolare, realizzare gli investimenti per gli impianti, semplificare le procedure per l’end of waste, rafforzare gli strumenti di politica industriale a sostegno degli investimenti delle imprese in direzione della circolarità, promuovere il trasferimento tecnologico in particolare verso le piccole imprese, sviluppare la produzione di biometano e la bioeconomia circolare.