Da venerdì 14 gennaio in Italia è entrata in vigore la normativa che vieta l’utilizzo di una serie di prodotti in plastica monouso, non biodegradabili e non compostabili. Bene ma non benissimo: l’Italia arriva tardi con deroghe ai materiali biodegradabili e compostabili che preoccupano ambientalisti e Cnr. Inoltre il divieto vale solo “dopo l’esaurimento delle scorte”, senza controlli sulle scorte stesse. Infine mancano incentivi al riciclo meccanico della plastica, come denuncia Assorimap.
Attualmente i prodotti in materiale plastico monouso rappresentano il 70% dei rifiuti di marini e delle spiagge. Secondo le stime sono oltre 150 milioni di tonnellate di plastiche già accumulate negli oceani e si prevede che i flussi di plastica nell’ambiente potrebbero aumentare di tre volte entro il 2040.
La Direttiva Europea antiplastica SUP (Single Use Plastic), che mira a ridurre del 50% entro il 2025 e dell’80% entro il 2030 l’inquinamento dovuto alla plastica, è attiva a livello europeo già dal 3 luglio 2021. Tra i prodotti di plastica monouso messi al bando spiccano piatti, cannucce di plastica, posate, cotton-fioc, aste per i palloncini e contenitori per cibi e bevande in polistirene espanso. L’Italia ha preso tempo e oltre alla deroga temporale ha aggiunto una clausola che toglie dall’elenco dei prodotti vietati quelli in materiale biodegradabile e compostabile.
UNESCO IOC: “Primo passo importante, ma l’obiettivo sia ancora più ambizioso”
“La direttiva SUP della Comunità Europea e il bando alle plastiche monouso costituiscono una presa di posizione importante per la difesa di ambienti naturali come oceano, mari, fiumi e laghi e ci auguriamo che tutti i paesi membri la recepiscano al meglio”, dichiara Francesca Santoro, Specialista di Programma della Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’UNESCO e promotrice in Italia del Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile (istituito dalle Nazioni Unite dal 2021 al 2030).
“La direttiva va dunque nella giusta direzione ma c’è ancora molta strada da fare per ridurre davvero la quantità di rifiuti plastici che ogni anno finiscono in mare, a maggior ragione dopo due anni di pandemia in cui il monouso è stato ampiamente utilizzato per ragioni igieniche sanitarie – aggiunge Santoro – Ogni anno quasi 600.000 tonnellate di rifiuti di plastica finiscono nel Mediterraneo contribuendo all’inquinamento fisico e chimico dell’acqua. Anche se una correlazione diretta tra questo primo tipo di inquinamento e la salute umana non sia ancora stata scientificamente dimostrata, è importante tuttavia sottolineare che gli agenti chimici con cui vengono trattate le plastiche possono essere rilasciati nell’acqua, alterando gli equilibri dell’ecosistema marino e creando dei pericoli sia per l’economia che per la salute collettiva”.
Senza dimenticare la questione delle microplastiche: secondo i dati raccolti dal GESAMP, l’ingestione di microplastiche è stata registrata nell’80% delle specie marittime campionate.
Assorimap: “Su plastiche monouso Italia contraddice indicazioni europee”
“Le modalità di applicazione definite dal Governo contraddicono con quanto previsto dall’Unione Europea, snaturando l’impianto della Direttiva. In Italia, infatti, non si prevede alcun tipo di incentivo per il riciclo meccanico della plastica, trascurando così un settore che costituisce il cuore dell’economia circolare”. È quanto scrive Assorimap in un comunicato.
L’Italia devia quindi pericolosamente dall’obiettivo strutturale della Direttiva, cioè la circolarità delle materie plastiche. Secondo il Regolamento europeo sulla “Tassonomia Verde”, infatti, il riciclo meccanico è considerato il processo più sostenibile per il trattamento delle materie plastiche, poiché per ogni tonnellata di materia plastica riciclata si risparmiano 1,9 tonnellate di petrolio, si riducono le emissioni di CO2 di 1,4 di tonnellate, nonché quantità ingenti di energia elettrica. “L’utilizzo circolare delle materie plastiche, che sappiamo essere l’obiettivo principale della Direttiva, potrebbe essere favorito maggiormente estendendo le previsioni di un contenuto minimo obbligatorio, al 50%, di plastica riciclata tracciata post-consumo”.
“Si tratta di aspetti fondamentali, di cui il Governo non ha tenuto conto. Le scelte dell’Esecutivo nell’applicazione della Direttiva Sup scontano la mancanza di visione strategica e contraddicono l’indirizzo tracciato dall’Unione Europea, rischiando di esporre l’Italia a richiami o a procedure anche più severe. Non dimentichiamo l’obiettivo al 2030, posto anch’esso dalla UE, del 55% di riciclo effettivo di rifiuti di imballaggio in plastica. Si tratta di un target sfidante e che difficilmente verrà raggiunto senza il contributo delle imprese del riciclo meccanico delle plastiche e senza misure che favoriscano il comparto delle plastiche riciclate”, sottolinea il presidente di Assorimap Walter Regis.
Ambientalisti preoccupati hanno già presentato reclamo
Greenpeace, ClienthEarth, Ecos e Rethink Plastic Alliance sono scettiche e avevano già presentato un reclamo ufficiale alle autorità europee per l’interpretazione italiana della direttiva.
Per Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, infatti, “la nuova legge europea rappresenta un’importante vittoria per l’ambiente e un primo passo importante per contrastare l’abuso di plastica usa e getta, ma l’Italia conferma ancora una volta di avere un approccio miope che favorisce solo una finta transizione ecologica. La direttiva offriva l’opportunità di andare oltre il monouso e la semplice sostituzione di un materiale con un altro, promuovendo soluzioni basate sul riutilizzo. Un obiettivo che è stato volutamente ignorato dal nostro Paese. Ci auguriamo che nelle prossime settimane l’Europa imponga al governo italiano le modifiche necessarie affinché prevalga la tutela dell’ambiente e della collettività anziché i meri interessi industriali. Purtroppo c’è il concreto rischio che venga avviato l’iter per una procedura d’infrazione”.
Critica anche la relazione del Cnr
Anche il Cnr nella sua relazione al Senato ha evidenziato il pericolo di imbrogli e di zone d’ombra, citando il caso della Coca Cola che ha presentato la sua “plant bottle” come bottiglia 100% da materia prima rinnovabile mentre, in realtà, non si biodegraderebbe affatto.