Home Bonifiche “Decreto Semplificazioni, così sono devastazioni” il dossier di 160 associazioni

“Decreto Semplificazioni, così sono devastazioni” il dossier di 160 associazioni

Decreto-semplificazioni

Il decreto Semplificazioni preoccupa le associazioni e i comitati che si occupano di ambiente e bonifiche. “Contiene norme che ritardano o addirittura annullano le bonifiche dei siti inquinati e dimezzano i tempi già oggi molto risicati per la partecipazione dei cittadini nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale (VIA)”.

È la posizione condivisa da oltre 160 associazioni italiane che hanno firmato il dossier “Decreto Semplificazioni, così sono devastazioni” inviato a tutti i parlamentari. Insieme all’appello le associazioni hanno mandato anche 34 proposte di emendamenti per abrogare le norme più pericolose e integrare con azioni concrete, provenienti dagli operatori del settore.

Tra le associazioni firmatarie del dossier il Forum Italiano dei movimenti per l’acqua, Attac Italia, Isde-Associazione Medici per l’Ambiente e Medicina democratica Onlus.

Chi inquina (non) paga

Come ha spiegato Augusto De Sanctis, del Forum H20 al sito Linkiesta: “Con l’articolo 53 comma 4-quater, la bonifica delle acque sotterranee può sostanzialmente venire addirittura bypassata con la previsione di poter ottenere il certificato di avvenuta bonifica anche per il solo suolo”. Significa di fatto annullare il principio del “chi inquina paga”, sancito nel 2004 dall’Europa e recepito nel 2006 dall’Italia.

Con il nuovo decreto, infatti, chi inquina potrebbe limitarsi a bonificare esclusivamente la parte di terreno superficiale, senza arrivare fino alle falde acquifere. Un procedimento senza vincoli di garanzie finanziarie, quindi meno oneroso, che deresponsabilizza le imprese dall’inquinamento delle acque. Se poi l’inquinatore dovesse fallire, l’onere passerà allo Stato che dovrà provvedere e pagare i relativi costi della bonifica. “Chi ha inquinato deve solo presentare, invece dell’analisi approfondita e puntuale dell’area, una più semplice e blanda “indagine preliminare”, con un campionamento a maglie larghe per valutare i livelli di contaminazione” spiega De Sanctis.

Inutili preliminari

A questa semplificazione pericolosa si accompagnerebbe, per contro, una complicazione inutile. Il decreto aggiunge infatti l’obbligo dell’indagine preliminare, un passaggio in più che porta complicazioni. I rilievi preliminari infatti prevedono sezioni molto ampie, anche di centinaia di metri, con il rischio che lotti contaminati possano sfuggire. “Basta scavare 20 metri più in là rispetto ad una fossa in cui sono stati sotterrati rifiuti per non accorgersi della loro presenza, dichiarando così non contaminata un’area che invece lo è”.

Per contro vengono escluse le procedure semplificate, previste nella normativa del 2014, rallentando molto i lavori di bonifica.

“Non importa se stiamo parlando dei Siti di interesse nazionale (Sin), luoghi riconosciuti come i più inquinati d’Italia, il decreto prevede che si agisca come se si trattasse di un sospetto di inquinamento in qualsiasi altra area del paese” insiste De Sanctis. Significa che questo vale anche per l’Ilva di Taranto, l’ex Sitoco di Orbetello o le ex discariche di Poggio ai venti a Piombino: tutti siti di interesse nazionale che nonostante il loro livello di inquinamento verranno trattati «come una qualsiasi pompa di benzina».

Libertà è partecipazione

Le associazioni vedono nel decreto anche una seria minaccia alla partecipazione pubblica, perché vengono dimezzati i termini temporali per presentare le osservazioni ai progetti sottoposti a Valutazione di Impatto Ambientale. Il tempo lasciato a disposizione passa da 60 giorni a 30. “Per analizzare e commentare documenti lunghi e complessi i cittadini devono trovare tempo, competenze e un’organizzazione per intraprendere quest’attività. Così facendo si elimina questo diritto” assicura De Sanctis.

Sul tema è interessante l’osservazione di Altreconomia: è come se il Governo avesse individuato nel parere dei cittadini il primo ostacolo da rimuovere al fine di velocizzare i cantieri. La proposta di affiancare una seconda commissione VIA a quella esistente, dimostrerebbe, sempre secondo i firmatari del dossier, il paradosso di questo insieme di proposte: “Queste norme cercano di rendere la procedura di V.I.A. un mero orpello, un timbro in più da mettere quanto più velocemente sui progetti, svuotandola del suo significato originario fissato dalla Direttiva”.

Archeologia e competenza

Altre modifiche contenute nel decreto riguardano la realizzazione delle indagini archeologiche che potranno essere fatte solo “a posteriori”, quando in realtà la direttiva comunitaria impone di accertare preventivamente – proprio con la VIA – l’impatto sul patrimonio culturale.

Tra le proposte delle associazioni, infine, anche quella di selezionare un soggetto amministrativo competente che lo sia davvero: oggi molte delle competenze ricadono sulle province il cui svuotamento di senso produce continui stalli nei processi di bonifica.