Una norma che incentivi i produttori che utilizzano le MPS (materie prime seconde) al posto delle materie prime e li obblighi a progettare i beni pensando già al loro fine vita. Questo l’invito al governo avanzato da Paola Obino, fondatrice e CEO di Wastly, il marketplace dell’economia circolare, in occasione del quinto Wwworkers Camp riunitosi la scorsa settimana alla Camera dei Deputati. Obiettivo dell’incontro dare vita a un “Manifesto” che definisca come fare impresa nel rispetto dell’ambiente grazie al digitale e alle nuove tecnologie.
“Sono un’ingegnere ambientale che da oltre 15 anni si ‘sporca’ le mani, nel vero senso della parola, in attività legate all’economia circolare – ha commentato Paola Obino, introducendo il suo discorso – Mi sono laureata quando ancora insegnavano ai futuri ingegneri come progettare inceneritori e discariche. La raccolta dei rifiuti era ‘tal quale’, la raccolta differenziata porta a porta neanche si menzionava e il decreto Ronchi ancora non era recepito in tutte le regioni italiane. Nonostante questo ho sempre pensato che il settore del riciclo e dei ‘materiali che si rigenerano’ fosse il futuro”.
Negli ultimi anni Paola Obino si è infatti concentrata sul mercato delle MPS, cioè quelle ottenute dagli sfridi di lavorazione delle materie prime oppure da materiali derivati dal recupero e dal riciclo dei rifiuti. Le MPS, come noto, offrono un duplice vantaggio: da un lato il risparmio delle materie prime con minore produzione di rifiuti (consentono di non approvvigionarsi più dalla Terra per gran parte dei manufatti che usiamo ogni giorno); dall’altro, un costo decisamente minore rispetto alle materie prime.
Un mercato in cui Paola Obino ha creduto talmente tanto da fondare nel 2015, insieme ad altri soci, Wastly, il marketplace che contribuisce alla creazione di un mercato dinamico delle materie prime secondarie (MPS) incentivando l’uso di materiali riciclati nei prodotti e nelle infrastrutture.
“Prima della nostra nascita tutto il mercato legato alle MPS era un mercato totalmente offline, dove vigevano processi e routine produttive che oggi chiameremmo ‘di vecchio stampo’ – ha continuato la Obino – Con Wastly finalmente si comincia ad assegnare una presenza digitale a tutti gli attori della filiera, dalla raccolta al riutilizzo di materiali riciclati, con il doppio vantaggio di avere, da una parte, il censimento di questi operatori e, dall’altra, la garanzia del controllo e della verifica delle certificazioni che occorrono per operare in questo mercato secondo le norme di legge. Un dettaglio non banale per chi conosce questo ambito”.
Fortunatamente oggi quasi tutti gli attori hanno iniziato a godere di una nuova consapevolezza e a riconoscere un “valore” ai rifiuti, il valore potenziale di “diventare qualcos’altro” che non comporta costi di estrazione e non viene sprecato. Ma che, anzi, spesso ha le stesse caratteristiche della materia prima, può essere utilizzato dalla maggior parte dei macchinari industriali che già utilizzano il vergine, quindi può essere rivenduto e re-immesso sul mercato.
“Come Wastly siamo stati chiamati a portare dei suggerimenti per un nuovo Manifesto delle imprese ‘sostenibili, circolari, verdi’. Non possiamo quindi che auspicare una norma che agisca sul comparto industriale lungo due direttrici: incentivando l’utilizzo di MPS al posto delle materie prime, affinché le aziende siano invogliate a convertire i processi produttivi in un’ottica circolare; obbligando i produttori a progettare i beni pensando già al loro fine vita. Da una parte, incentivare in una fase iniziale le industrie che investono in MPS – per esempio con detrazioni sul credito d’imposta – è essenziale. Si tratta di un sistema collaudato in tanti altri ambiti della nostra quotidianità: grazie agli standard e ai bonus auto, per esempio, oggi viaggiamo su autovetture più rispettose dell’ambiente. Dall’altra, l’obbligo sulla filiera dovrebbe vincolare i produttori a mettere in circolazione manufatti che non presentino costi eccessivi di disassemblaggio o trattamento e quindi facilmente riciclabili”.
Convertire interi processi industriali richiede tempo, plausibilmente dai 5 ai 10 anni. Dovrà essere, quindi, programmato, incentivato e il più possibile indolore. Allora, si spera, sarà tutto così normale che nemmeno ci si farà più caso: usare materiali non riciclati sembrerà un’assurdità, come oggi ci sembra impensabile fumare ancora nei locali pubblici.
“Recentemente abbiamo partecipato alla fiera K di Dusseldorf e il messaggio che è emerso è chiaro: o andiamo in questa direzione o saremo posto fuori dal mercato – ha concluso Paola Obino – Non possiamo lasciare ai soli cittadini il compito di attuare il cambiamento se non ne hanno né i mezzi né la consapevolezza: non possono essere lasciati soli a prendere decisioni così importanti e a portare avanti questa rivoluzione. Il genitore che deve acquistare un certo tipo di latte per il proprio figlio anteporrà sempre ciò che è meglio per il bambino a ciò che è meglio per l’ambiente e non si curerà del tetrapak. Di contro, pochi di noi sanno riconoscere in una qualunque GDO una bottiglia in plastica già riciclata da una in PET o polietilene tereftalato. Il cittadino non può essere abbastanza informato da decidere tutto da solo. Noi, tutti insieme, sì. Quindi il compito di cambiare il mondo, prima di tutto, spetta a noi”.